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Denaro a disposizione delle cosche, confisca da 2,5 milioni ad un imprenditore di Rosarno

Beni del valore di oltre 2,5 milioni di euro sono stati confiscati dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria all’imprenditore Giuseppe Nasso, 41 anni, di Rosarno, arrestato nell’operazione Ares condotta nell’estate del 2018.

Il provvedimento è scaturito dalla pronuncia della sezione misure di prevenzione del Tribunale della città dello Stretto che ha ravvisato gli estremi per sottrarre gran parte del patrimonio all’imprenditore. I beni, secondo l’accusa, di provenienza illecita, erano stati messi a disposizione delle consorterie criminali rosarnesi.

Il patrimonio sottratto a Nasso comprende un milione di euro in contanti, le cui mazzette erano a disposizione dei boss della 'ndrangheta; l’impresa individuale "Fercolor"; due unità immobiliari, un libretto di deposito titoli, una polizza assicurativa.La magistratura ha comminato a Nasso, ancora detenuto, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che dovrà scontare dopo la sua scarcerazione.

Nasso è uno dei destinatari dei provvedimenti cautelari in carcere emessi a carico di 45 persone ritenute appartenenti a due diverse articolazioni territoriali della 'ndrangheta. Le indagini avrebbero permesso di documentare come l’imprenditore era risultato tra gli organici di uno dei sodalizi scoperti, a favore del quale poneva la disponibilità di strutture e capitali importanti, in maniera strumentale, per agevolarne le finalità illecite.

L’operazione Ares aveva permesso di disarticolare due tra le più temibili articolazioni della 'ndrangheta attive nella Piana di Gioia Tauro: il clan «Cacciola-Grasso» e quello dei «Cacciola», contrapposti tra loro, radicaie nella Piana di Gioia Tauro e riconducibili alla «società» di Rosarno del «mandamento tirrenico» della provincia di Reggio Calabria.

Gli approfondimenti investigativi avrebbero consentito di individuare Nasso come personaggio a disposizione delle consorterie mafiose, per conto delle quali deteneva un ingente patrimonio, costituito anche dalla disponibilità di un milione di euro in contanti, suddiviso in confezioni termosigillate riposte nel controsoffitto di un locale pubblico gestito dall’imprenditore prima del suo arresto.

Soldi che, a parere degli inquirenti, erano estremamente importanti per agevolare le iniziative illecite delle consorterie di riferimento, soprattutto per quanto concerneva l’acquisto delle partite di cocaina provenienti dai paesi dell’America Latina.

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