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Reggio, gli interessi dei “Piromalli-Molè” nel business delle televisioni

Strapotere Piromalli. Ogni affare, appalto o fornitura che fosse, che si affacciava sulla Piana di Gioia Tauro, l'area di Reggio storicamente dominata dalla 'ndrina per eccellenza del mandamento “Tirrenica”, passava dal loro placet. Anche i business locali collegati all'esplosione dell'imprenditoria televisiva. E nel 1994, periodo cruciale delle stragi continentali e della strategia dell'esportazione in Calabria dei ricatti di Cosa nostra allo Stato che non voleva indietreggiare dalla ferrea legislazione che imponeva carcere duro a boss e mafiosi di ogni caratura e provenienza, si registrò l'asse tra criminalità organizzata reggina e imprenditori televisivi. Soldi in cambio di protezione, danneggiamenti e ritorsioni per sollecitare l'arrivo di fiumi di denaro nelle tasche dei capi 'ndrangheta di Gioia Tauro, i Piromalli all'epoca alleati di ferro dei Molè (questi ultimi estromessi e depotenziati come spiegato dall'indagine della Dda di Reggio “Cent'anni di Storia”).

A ripercorrere quel periodo è stato ieri in Corte d'Assise a Reggio, nelle vesti di testimone del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Michelangelo Di Stefano, investigatore della Dia esperto delle dinamiche imprenditoriali-mafiose dei clan di Reggio. Fase tra l'altro cristallizzata nell'indagine e nel successivo processo “Tirreno” che ha ricostruito (anche) gli interessi del cartello “Piromalli-Molè” nel mondo della televisione commerciale attraverso imprenditori «vicini per vincoli economici e di parentela». Subito in evidenza il ruolo ricoperto allora da Angelo Sorrenti e Giovanni Polimeni, due imprenditori che avrebbero fatto fortuna grazie alle commesse della Fininvest sui ponti radio del segnale televisivo e per la loro «vicinanza alle potenti famiglie di ‘ndrangheta di Gioia Tauro».

L'articolo completo sulla Gazzetta del Sud, edizione di Reggio

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