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Coronavirus, il "Paziente 1" di Codogno: «Mi ha salvato un medico di Cosenza... il mio nuovo papà»

Mattia Maestri, il "paziente 1" di Codogno

Mattia Maestri, il paziente 1 del coronavirus, scoperto il 20 febbraio all’ospedale di Codogno, è convinto di aver vissuto in tutti questi mesi «più di un film». Perché gli è successo di tutto: dalla terapia intensiva, durata settimane, alla morte del padre, sempre per Covid, alla malattia per la stessa patologia della moglie, Valentina, fino alla nascita della figlia, Giulia, a cui ha potuto assistere.

«Ho scoperto di essere il paziente 1 solo una volta che ho preso in mano il mio smartphone - ripercorre -. È lì che ho capito cosa fosse successo. Fino ad allora sapevo solo che ero stato ricoverato per una polmonite. Ma confesso che non mi pesa essere chiamato paziente 1. Sono solo il paziente che è stato certificato per primo». «Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato cosa c’era in giro, cosa stava succedendo e neppure nel dettaglio» ricorda.

Mattia era sempre convinto di avere una polmonite e fu curato a casa, dopo una visita al Pronto soccorso: «Al mio ritorno a casa con antibiotico, però la febbre è aumentata e mi sono ripresentato al pronto soccorso. Da lì in poi la febbre è cresciuta ancora fino a quando sono stato portato in terapia intensiva».

Era l’inizio di tutto: «La mia malattia, la mia guarigione, il fatto che sia mia madre che mio padre che Valentina si siano ammalati, mia madre e Valentina sono guarite, mio papà non ce l’ha fatta. E poi la nascita di Giulia, tutto concentrato in un mese e mezzo scarso, è una cosa da film, forse anche di più di un film».

«Quando racconterò questa storia a mia figlia Giulia ricorderò «innanzitutto il dottor Raffaele Bruno (infettivologo cosentino, ndr), il mio nuovo papà. Io ho perso il mio per questa malattia ma Bruno che mi ha salvato lo considero così. E poi la dottoressa Annalisa Malara (anestesista di origini reggine, ndr). È stato grazie al suo intuito e al suo coraggio che è stato scoperto il coronavirus», conclude l’ex paziente 1.

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