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Ricoverata da due mesi aspettando l'esito del tampone, l'odissea di una donna di Crotone

Da quasi due mesi si trova ricoverata nel reparto Covid dell’ospedale “San Giovanni di Dio” di Crotone e ancora non sa quando potrà essere dimessa. Il motivo? Da giorni attende l’esito del tampone che serve ad accertare la sua positività o meno al coronavirus.

Con una lunga lettera indirizzata alla stampa, Natale Schettini, dopo aver perso il padre 64enne lo scorso marzo per Covid-19, adesso ha deciso di raccontare pubblicamente la vicenda di sua madre in seguito al contagio dell’infezione. «Tra un tampone e il successivo passano normalmente 5 giorni», scrive. Quindi, «per avere gli esiti di un tampone ne passano normalmente altrettanti» e «per uno dei tamponi fatti non riceviamo mai l’esito».

Anzi, «dicono che è stato smarrito a Catanzaro, poi ci dicono anche che probabilmente non è nemmeno mai partito per Catanzaro». E così, «dopo 45 giorni di ospedale – lamenta Schettini - arriva il primo tampone negativo, si procede al tampone successivo, arrivano notizie “informali” di una negatività che l’avrebbe finalmente restituita alla famiglia, ma nella sera della stessa giornata la notizia viene smentita, il cartaceo ci da un verdetto contrario».

«Arriviamo così a 55 giorni di ospedale e siamo a lunedì 11 maggio – sostiene l’autore della missiva - i tamponi vengono fatti subito al mattino e inviati a Catanzaro». Ma ancora nessun esito. «Proviamo a chiamare i medici, il primario, sentiamo chiunque possa in qualche modo aiutarci a sbloccare la situazione – evidenzia Schettini - ma il problema pare sia legato alle ultime vicissitudini ingenerate dalla decisione della governatrice Santelli che ha pensato bene di imporre tamponi a tappeto per tutte le persone che varcano i confini calabri».

Una «decisione virtuosa», questa, «in un contesto caratterizzato da una situazione sanitaria decente», ma «in Calabria dove l’unico centro funzionante di analisi è quello di Catanzaro, dove le risorse scarse non hanno reso nemmeno possibile imporre l’uso delle mascherine perché la Regione non poteva permettersi il relativo esborso, questa decisione rischia di essere la più enorme delle scelleratezze».

Schettini non poteva fare a meno di ricordare i momenti che hanno contrassegnato la malattia e la morte del padre, oltre al contagio della madre. «Mio padre e mia madre – racconta - sono stati ricoverati assieme quel 18 di marzo, in uno stato di debolezza, dopo quasi 10 giorni di malattia, febbre alta, disturbi gastrici». Però, «siccome non presentavano sintomi quali tosse e difficoltà respiratorie apparenti – viene riportato nella lettera - e siccome c’erano già diversi casi Covid in circolo, non se ne parlava di ricoverarli o di sottoporli a tampone, nonostante uno degli amici di mio padre fosse stato trovato positivo pochi giorni prima e versasse in condizioni già molto gravi».

Non solo. «In una delle “n” telefonate al numero preposto per il Covid ci vengono persino suggerite strade “alternative” per sottoporre i nostri genitori a tampone. Facciamo finta di non aver capito». «Ed è così – prosegue Schettini - che grazie a rassicurazioni grossolane e consigli inetti da parte di guardia medica e medico di base, i miei genitori continuano a peggiorare a casa. Nessuna visita a domicilio, nessun tampone. Solo dopo più di una settimana di insistenze telefoniche, dopo quasi 8 giorni di febbre alta, si presentano alcuni operatori».

E solo dopo tanta attesa, osserva, «nel pomeriggio del 18 marzo i miei genitori vengono prelevati dall’ambulanza». «Al loro arrivo in ospedale – spiega ancora Schettini - sono parcheggiati per ore in ambulanza nei pressi dell’ospedale, semplicemente perché non c’è posto, prima doveva essere sanificata la tenda nella quale avrebbero dovuto sostare». Dopo il primo trattamento nella tenda del triage del “San Giovanni di Dio”, il 64enne Schettini viene ricoverato in reparto a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute.

«Sempre quella sera – ribadisce - attorno alle 22 arriva una telefonata da Catanzaro, finalmente è il verdetto del centro analisi che avvisa che entrambi i tamponi sono risultati positivi al Covid-19». Il mattino il padre di Schettini spira. Dopodiché, si legge nella lettera, «chiediamo informazioni su nostra madre, per capire in che stato è: la risposta è che mia madre, a distanza di quasi 24 ore dal suo arrivo in ospedale, non è ancora in reparto Covid, perché – dicono – non è ancora arrivato l’esito del suo tampone».

Invece, «essendo noi certi della sua positività insistiamo perché siamo molto preoccupati del fatto che la sua febbre continua a salire e lei è ancora lì nella zona “grigia” senza alcuna terapia». E solo dopo tanto insistere, con tanto di chiamate all’ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro e anche alla Polizia, giunge l’esito della positività della signora al coronavirus e il suo contestuale ricovero in ospedale.

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