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Lati oscuri della 'ndrangheta, figli omosessuali e donne ribelli: debolezze dei boss calabresi

Nicolino Grande Aracri

Un lungo viaggio tra i padrini del terzo millennio. Pronti a investire in bitcoin, ad esplorare i mercati dell’est, a conquistare potere e denaro attraverso rodati rapporti con il mondo politico e istituzionale e la massoneria deviata.

Nicola Gratteri e Antonio Nicaso raccontano la parte nascosta della ’ndrangheta, quella invisibile che si struscia con il potere  e viaggia nella parte più profonda e oscura di internet; che si siede ai tavoli in cui si decidono i grandi investimenti; che usa i professionisti per gestire le proprie risorse; che corrompe chiunque dall’Europa all’Africa, dal Sudamerica al Canada; che s’infiltra nelle banche; che utilizza i principali porti del vecchio continente da Costanza sul Mar Nero, fino a Rotterdam, passando per Anversa, Le Havre, Amburgo, Algesiras per smistare tonnellate di cocaina.

Quella calabrese è una mafia che non tratta, però, solo la “coca” prodotta in Colombia, Bolivia ed Ecuador: oggi i boss nostrani trattano, come già stanno facendo pure i narcos messicani, le metanfetamine che stanno monopolizzando il mercato mondiale. Il procuratore di Catanzaro e il docente universitario e scrittore italo canadese delineano poi nel loro ultimo libro – “La rete degli invisibili” (Mondadori 194 pagine) – le figure dei capibastone più scaltri e dinamici di questo scorcio di secolo: da Nicolino Grande Aracri di Cutro a Giuseppe De Stefano di Reggio svelandone diaboliche astuzie e umane debolezze.

La ’ndrangheta moderna è pure fatta di mafiosi omosessuali, costretti a nascondere le loro inclinazioni e di figli pronti a tradire i padri capibastone per scampare alla galera. Tra i “figli d’arte” diventati pentiti di rango ci sono Francesco Farao di Cirò, Giuseppe Giampà di Lamezia Terme e Emanuele Mancuso di Limbadi.

Eppoi le donne “ribelli” come Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola di Rosarno, Loredana Patania di Stefanaconi, Okasana Verman di origine ucraina ma amante di un boss di Mileto.

Gli autori rivelano pure come la mafia nostrana, modernissima nel gestire gli affari, conservi una organizzazione interna assolutamente improntata su base familiare e un rapporto strumentale con la religione cattolica e le manifestazioni di pietà popolare.

Nicola Gratteri e Antonio Nicaso hanno presentato il loro volume sia a Cosenza che a Corigliano. Nel Cosentino, d’altronde, la ’ndrangheta ha radici antiche che risalgono all’Ottocento. Non è un caso che nella città dei bruzi venne celebrato (contestualmente a Nicastro, Reggio e Palmi) uno dei primi maxiprocessi istruiti contro la cosiddetta “picciotteria”.

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