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Catanzaro, trame oscure dietro il progetto “Safe city”: emergono nuovi particolari

Da Israele fino a Cipro, passando per paradisi fiscali e società off shore con aziende nate per organizzare feste e compleanni che detengono invece quote nel mercato della vendita internazionale di armi. Un labirinto di cui neanche gli investigatori della Digos di Catanzaro sono riusciti a trovare il bandolo della matassa. Nei giorni scorsi, infatti, la Procura della Repubblica ha depositato all'ufficio gip una richiesta di archiviazione per l'indagine sul mega progetto di videosorveglianza denominato “Safe city”, un investimento da oltre 23 milioni di euro che avrebbe dovuto trasformare il capoluogo calabrese in una sorta di grande fratello.

Le 900 telecamere da piazzare in ogni angolo della città non vennero mai finanziate e il progetto naufragò, anche grazie alle denunce dei consiglieri di opposizione che con l'avvocato Francesco Pitaro presentarono un dettagliato esposto sollevando più di un dubbio sull'iter amministrativo. A distanza di anni la Procura conferma quei dubbi. Nella richiesta di archiviazione il sostituto procuratore di «gravi anomalie». Secondo la Procura la vicenda si svolse «in evidente spregio del più elementare principio operante nell'affidamento di commesse pubbliche» ma i reati di abuso d'ufficio e falso, di cui si sarebbero macchiati il sindaco Sergio Abramo e la giunta dell'epoca, a distanza ormai di quasi sette anni sono da considerarsi ormai prescritti.

Ma leggendo gli atti dell'inchiesta emergono nuovi e inquietanti particolari.

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