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Reati ambientali, la Cassazione scrive l'ultima parola sulla discarica di Casignana a Locri

Corte di Cassazione

La Cassazione ha reso definitiva la sentenza del processo “Black Garden”, nato dall'omonima operazione eseguita il 24 novembre 2011 dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Nucleo operativo ecologico e coordinata dalla Procura distrettuale competente per reati in materia ambientale relativa alla gestione della discarica di Casignana.

Nei confronti degli imputati, come riporta la Gazzetta del Sud in edicola, venivano contestati, a vario titolo, reati in materia ambientale, tra cui l'ingiusto profitto, consistente nel risparmio di denaro dovuto per un corretto smaltimento del percolato, per la ricopertura e la compattazione giornaliera dei rifiuti, nonché per le opere necessarie per una corretta manutenzione della discarica.

La Corte d'Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 27 giugno 2017 aveva confermato la decisione con la quale, il 27 giugno 2014, il Tribunale di Locri aveva dichiarato colpevoli Giuseppe Saverio Zoccoli, Antonio Giovanni Crinò e Giorgio Stiriti. All'esito del primo grado i giudici di Locri avevano condannato Giuseppe Saverio Zoccoli, socio e procuratore speciale della società “Zetaemme sas”, a 1 anno e 9 mesi di reclusione; Antonio Giovanni Crinò, direttore tecnico della società, a 1 anno e 6 mesi, e Giorgio Stiriti, all'epoca dei fatti direttore tecnico della società “Leonia Spa“, che si occupava della gestione dei rifiuti solidi urbani di Reggio Calabria, a 4 mesi.

I giudici della Cassazione, nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi, rilevano che il giudice dell'appello: «ha dato una completa indicazione della condotta posta in essere dagli imputati e finalizzata al perseguimento del corrispettivo pattuito per la gestione della discarica, nonostante evidenti criticità riscontrate nella sua gestione, nonché al contemporaneo contenimento delle spese. Specifica la Corte territoriale - aggiungono i Supremi Giudici - che la società, dopo che la discarica era divenuta satura di rifiuti, tanto che l'altezza di quelli abbancati superava, in un area, quella consentita di alcuni metri, aveva continuato a conferire rifiuti in una vasca di nuova realizzazione, per la quale non era stata rilasciata la necessaria autorizzazione e nella piena consapevolezza delle conseguenze della incompleta impermeabilizzazione di una parte dell'impianto, suscettibile di provocare la fuoriuscita del percolato».

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