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Armi in cambio di impunità, il patto fra 'ndrangheta e mafia albanese

L’altra mafia. Feroce, ben armata, capace d’importare droga pesante dall’Afghanistan e dal Sudamerica e di  produrre “fumo” e “erba” nelle immense vallate sferzate dal vento dei Balcani.

Una mafia nata nel Paese delle aquile, cresciuta a dismisura negli ultimi due lustri fino e diventare un serio problema per l’intero continente. «La mafia albanese» spiega Nicola Gratteri, procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro «è oggi una delle organizzazioni più pericolose e ramificate non solo in Italia ma nel resto d’Europa. Di più: abbiamo certezza che i boss schipetari hanno lanciato la loro campagna di strisciante invasione anche in Canada.

La presenza delle gang albanesi è nota da tempo nella Calabria settentrionale e in Puglia come provano tre importanti inchieste condotte dalla Dda di Catanzaro: “Anije”, “Harem” e “Gentleman”.

Nella nostra regione gli schipetari hanno stretto patti di non belligeranza con le cosche tradizionali della ‘ndrangheta e con la criminalità nomade (gli zingari) garantendo il costante rifornimento di kalashnikov e di droga leggera e pesante in cambio della possibilità di muoversi agevolmente sul territorio e di gestire il racket della prostituzione.

Tutti i fucili mitragliatori adoperati per compiere, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, agguati a Cosenza, Cassano, Sibari, Rossano e Corigliano provenivano, infatti, dai dismessi arsenali dell’esercito di Enver Hoxa.

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