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Infiltrazioni della 'ndrangheta in Liguria, nove condanne

Il tribunale di Genova

La 'ndrangheta in Liguria c'è. Esiste anche se silenziosa e poco operosa. E lo hanno certificato i giudici della corte d'appello di Genova che hanno condannato a oltre 40 anni nove presunti boss arrestati nel 2012 nell'ambito dell'inchiesta Maglio 3.

Un secondo grado bis, arrivato dopo due sentenze di assoluzione e il rinvio da parte della Cassazione che aveva annullato i primi due pronunciamenti ordinando un nuovo processo.

I giudici hanno condannato Onofrio Garcea a 7 anni e 9 mesi, a sei anni Benito Pepè e a 4 anni e 8 mesi Rocco Bruzzaniti, 6 anni ciascuno per Fortunato e Francesco Barilaro e Michele Ciricosta, tre anni e un mese per Raffaele Battista, 4 anni e 8 mesi per Antonino Multari e Lorenzo Nucera. Assolto Antonio Romeo. L'accusa è associazione a delinquere di stampo mafioso. Alla lettura del dispositivo i parenti hanno pianto.

"È una sentenza importante perché riconosce la presenza della 'ndrangheta in questi territori, dove sono stati sciolti anche Comuni per mafia", ha commentato il sostituto procuratore generale Giuseppa Geremia dopo la lettura del dispositivo.

I legali degli imputati hanno già annunciato che faranno ricorso in Cassazione. L'inchiesta era una costola dell'operazione "il Crimine", maxi indagine contro la 'ndrangheta calabrese e le sue ramificazioni in Lombardia. Erano scattati gli arresti anche in Liguria ma dopo le due assoluzioni, i presunti boss erano stati tutti scarcerati.

Nel corso dell'inchiesta Maglio 3 gli investigatori dei Ros, coordinati dal pm Alberto Lari (adesso procuratore capo di Imperia) avevano raccolto numerose intercettazioni ambientali che avevano registrato riunioni 'ndranghetiste, aiuti a latitanti e appoggi elettorali a politici conniventi.

Elementi che non avevano convinto i giudici genovesi. Gli Ermellini avevano stabilito però che quelle sentenze andavano riviste. Il ragionamento dei giudici genovesi era stato concorde: senza reati fine (omicidi, estorsioni, incendi) non c'era esercizio reale del potere mafioso.

Un ragionamento sbagliato secondo la Cassazione: la sola affiliazione a un'organizzazione così potente e violenta basta per condannare. A rafforzare la tesi della presenza dell' organizzazione in Liguria, ha sostenuto la Cassazione, bastavano anche le condanne comminate in Calabria e in Basso Piemonte che erano arrivate con gli stessi atti di indagine in mano ai magistrati genovesi.

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