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La favola d’un padre e un figlio: parla l’attore reggino Alessio Praticò, tra i protagonisti del film «La festa del ritorno»

La pellicola, diretta da Adorisio sull'adattamento dell'omonimo romanzo di Carmine Abate (scrittore di Carfizzi e già premio Campiello), attraverso il dolore dell’emigrante Tullio racconta «tutti coloro che sono stati costretti a lasciare luoghi e persone care»

Una storia di formazione che narra il fenomeno dell’emigrazione e le numerose implicazioni psicologiche e sociali, tra cui il rapporto padre-figlio, «La festa del ritorno», debutto nel lungometraggio di Lorenzo Adorisio, in sala per Videa, e adattamento dell’omonimo romanzo di Carmine Abate, scrittore di Carfizzi premio Campiello, racconta la crescita prematura di Marco (l’esordiente Daniele Procopio), dodicenne degli anni ’60, che vive in un imprecisato paese arbëreshë immerso nella campagna calabra. Il protagonista è figlio di Tullio, emigrato a Parigi per garantire un futuro a lui e alla sorella Elisa (Federica Sottile).

Interpreta Tullio l’attore reggino Alessio Praticò, di recente visto in tv nella serie Sky Original «Un’estate fa», nei panni di Davide Gori, braccio destro dell’ispettore Zancan, e tanto riflessivo e gentile quanto il commissario è brusco e burbero. «Tullio si porta dentro il profondo dolore per la scomparsa del suo grande amore – ci dice – e vive con sofferenza il sacrificio di dover abbandonare il luogo natio e le persone care per aiutarle economicamente. Ho cercato di raccontarlo mostrando il disagio del partire e tornare continuamente, e la sua frustrazione come padre che non può svolgere sino in fondo il suo ruolo. Con lui raccontiamo tutti coloro che, a qualunque latitudine, sono stati costretti a lasciare luoghi e persone care. Comune è il senso dell’abbandono, del ricordo, il pensiero costante legato al tema delle radici, perché il luogo in cui nasci ti inculca da bambino quei sentimenti che ti porti dentro da adulto. In questo senso è una storia universale».

La storia è narrata dal punto di vista del ragazzino ormai adulto. Questo dà un valore aggiunto al racconto?
«Probabilmente fa assumere alla narrazione i toni della favola, di incanto rispetto a quello che si va a vedere, perché si osservano i fatti attraverso gli occhi sognanti e incantati del ragazzino che racconta il passato: quindi con i sentimenti di chi rivive un ricordo, in questo caso legato al padre. Che diventa la sua spina nel fianco, per il dolore nel dover subire l’abbandono da parte sua; circostanza che fa soffrire anche il genitore. In questo senso entrambi vivono gli stessi sentimenti inespressi. La necessità li fa tacere, e Marco dovrà crescere in fretta, per colmare la mancanza della figura paterna che sente fortemente, anche perché passa le giornate in quei luoghi straordinari che regalano una Calabria diversa dal racconto paesaggistico classico che se ne fa spesso al cinema».

Una Calabria aspra e selvaggia, ripresa tra Cirò, Melissa, Carfizzi, Crucoli e Verzino. Potrebbe essere un nuovo set in cui ambientare altre storie anche non legate al Sud?
«Credo di sì. Nel film abbiamo raccontato luoghi che non riguardano la classica parte marina della Calabria, ma quella legata alla montagna, e soprattutto ai paesi di quegli anni, che avevano una loro dignità e riuscivano ad integrarsi col contesto paesaggistico, prima che arrivasse l’abusivismo edilizio a distruggere l’equilibrio fra i centri abitati e la natura circostante. In questo caso anche attraverso il lavoro della scenografia e dei costumi siamo riusciti a riportare in vita un mondo diverso, dimenticato».

Il film adatta la vicenda del libro mantenendo uno stile asciutto, e riuscendo comunque a toccare l’emotività dello spettatore. Questo cosa comporta nel lavoro di voi attori?
«La cosa più difficile da interpretare è la semplicità e la bellezza che caratterizzano il film. Le vicende vanno così narrate cercando di mantenere assieme alla sobrietà un filo di tensione, per aiutare lo spettatore ad essere attivo dall’inizio alla fine. Non dare quindi troppe risposte e costringerlo a seguire l’intero racconto. È quello che dovrebbe fare sempre il cinema: raccontare con le immagini, gli sguardi, le reazioni; elementi molto più incisivi rispetto ad una battuta o una spiegazione data attraverso la parola».

Realizzato da Alba Produzioni, Gorilla Group e Leon Film, col contributo di Ministero della Cultura e Fondazione Calabria Film Commission, «La festa del ritorno» vede nel cast anche Anna Maria De Luca, Annalisa Insardà e Carlo Gallo.

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