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Autobomba, al vaglio 70 reperti

Morto per bomba in auto, il rebus dell'innesco

Prosegue senza sosta, a Messina, al Reparto investigazioni scientifiche (Ris) dell’Arma dei Carabinieri, l’attività tecnico-scientifica relativa ai circa settanta reperti rinvenuti in località “Cervulara”, dove il 9 aprile scorso, intorno alle 15, un’autobomba ha ucciso sul colpo il quarantaquattrenne  biologo di Limbadi Matteo Vinci, che si era appena messo alla guida della vettura, ustionando gravemente il padre, Francesco. Nell’immediatezza dell’evento, quello stesso giorno, a raggiungere il luogo della deflagrazione, dopo aver attraversato la piccola strada che da via delle Fosse Ardeatine sulla strada provinciale 31, porta lì, dove la famiglia Vinci-Scarpulla possiede un appezzamento di terreno, furono i carabinieri della locale Stazione coadiuvati, subito dopo, dai colleghi della Compagnia di Tropea guidata dal maggiore Dario Solito.

Furono proprio loro a repertare autonomamente tutti quegli elementi a loro avviso utili alle indagini. Successivamente, gli uomini del Ris di Messina supportati dall’unità Sezioni investigazioni scientifiche (Sis) effettuarono il necessario sopralluogo preliminare sulla scena del crimine così come sull’auto, repertando ulteriori elementi. Gli involucri contenenti i vari ritrovamenti sono stati aperti il 28 agosto in Sicilia, alla presenza dell’avvocato Giuseppe Antonio De Pace, legale della famiglia Vinci, e del consulente tecnico degli indagati, Alessandro Teatino.

Le varie tracce di esplosivo rinvenute sul luogo e, soprattutto, sull’auto – la Ford Fiesta di proprietà del padre di Matteo, attualmente custodita nel deposito di Rombiolo – adesso sono valutate dai tecnici del Ris, studiate a fondo per capire con maggiore precisione come sia avvenuta effettivamente l’accensione dell’ordigno collocato, secondo le forze dell’ordine, sotto l’autovettura e azionato da una bomba radio-controllata che lo ha fatto esplodere. Per l’omicidio Vinci, a fine giugno, sono finiti in manette con l’accusa di omicidio aggravato, i componenti della famiglia Di Grillo-Mancuso: Rosaria Mancuso, 63 anni; il marito Domenico Di Grillo, 71 anni; la figlia Lucia Di Grillo, 29 anni, e il marito di quest’ultima, Vito Barbara, 28 anni, tutti di Limbadi.

I fermi sono scaturiti dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro. A metà luglio nei confronti dei quattro indagati è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere dal gip del Tribunale di Vibo Valentia. Ad agosto, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha rigettato il ricorso presentato dai legali dei quattro.

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