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Sulle tavole i prodotti dop... delle ’ndrine

Sulle tavole i prodotti dop... delle ’ndrine

Il vino e il caffè, i preparati per pizza e le mozzarelle di bufala: la ’ndrangheta-gourmet è inserita a pieno titolo anche nell'enogastronomia, ovviamente con le sue regole e i suoi interessi illeciti. Che il settore sia ad alto rischio lo attestano decine e decine d’indagini in tutt’Italia: non soltanto gli investimenti nei ristoranti al Nord, perché per dirla con il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri «la ’ndrangheta sta comprando tutto ciò che si può da Roma in su», ma anche il tentativo spesso riuscito di monopolizzare il commercio delle materie prime nel settore alimentare.

Bar, bistrot e locali esclusivi per riciclare il denaro dalle attività illecite delle cosche. Ma c’è pure il capitolo dei prodotti dop imposti, molto più che proposti, a mercati più o meno inesplorati. Tutto a suon di minacce o, nella migliore delle ipotesi, di accordi sottobanco. I metodi, d’altronde, sono sempre quelli. Spiccioli.

L’allarme non è una novità: oltre alla ristorazione, i clan hanno interessi anche sui prodotti da tavola al top del made in Italy. Hanno fatto storia le arance, i mandarini e i limoni dei Piromalli esportati negli Stati Uniti, l’olio extravergine di oliva di Matteo Messina Denaro, il controllo dei mercati ortofrutticoli da parte dei Gallace fino ad arrivare alle mozzarelle di bufala del figlio di “Sandokan” del clan dei Casalesi.

E infatti l’ultima “segnalazione” arriva non dalle famiglie calabresi, ma proprio dai casalesi. Ha deciso di aderire al programma di protezione Walter Schiavone, uno dei figli di quel Francesco detto “Sandokan”. Da lui, che è accusato di aver vissuto da nababbo coi soldi del clan, i magistrati si aspettano tanto. E qualcosa l’ha già confidata il pentito Roberto Vargas, ex braccio destro del fratello Nicola Schiavone, rivelando che sarebbe stato l’artefice di un patto con i Giampà di Lamezia per imporre in Calabria la mozzarella di bufala prodotta in un caseificio nel “feudo” criminale di Casal di Principe. «Io e Walter – ha raccontato – portammo dei provini di mozzarella da fare assaggiare ai diversi ristoratori di Lamezia Terme». E ancora: «Walter ereditò il business della mozzarella e il patto con i calabresi tra il 1999 e il 2000». Il rapporto nacque, secondo Vargas, durante il periodo in cui un luogotenente dei Giampà era al 41 bis assieme a “Sandokan”. «Sono stato suo ospite – ha detto ancora Vargas – su incarico della moglie di Francesco Schiavone al fine di occuparmi della distribuzione del pesce in maniera esclusiva stabilendo un contatto diretto con la ’ndrina».

Fino in Germania porta invece l’inchiesta “Stige” condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Gli uomini coordinati da Gratteri sono convinti che la cosca Farao. Marincola di Cirò sia riuscita per lungo tempo ad imporre la fornitura di prodotti semilavorati per la pizza a Dusseldorf, Francoforte, Monaco di Baviera e Wiesbaden e la vendita forzata dei rinomati vini di Cirò a ristoratori minacciati in tutta la Germania. Poco cambia se non ci si trova sul mar Jonio o in Sila: agli uomini del clan sarebbe stato affidato il compito di monopolizzare anche il mercato ortofrutticolo e del pescato, imponendo i prodotti realizzati dalle imprese vicine alla ’ndrangheta. E sempre loro avrebbero riscosso i relativi crediti dai ristoratori vessati e consegnato poi il denaro incassato ai plenipotenziari della cosca rimasti nella terra di origine. C’era persino, secondo la Dda catanzarese, un incaricato di comporre i conflitti fra i ristoratori italiani presenti in Germania, perché «regnasse l’ordine» e la commercializzazione forzata dei prodotti non subisse frenate.

Qualche anno prima era stata l’inchiesta Kyterion, sempre della Dda del capoluogo, ad affondare sull’imposizione delle cialde per le macchinette del caffè.

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