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La fuga degli infermieri calabresi

Sanità in Calabria, sui Lea il dg corre ai ripari

La diaspora degli infermieri calabresi. Stanchi d’aspettare l’ingresso negli ospedali della loro regione che tanto avrebbero bisogno di quelle professionalità. Giovani con anni di studi alle spalle esausti dalle continue promesse e da quegli insopportabili ritardi istituzionali che, oltre a creare disagi su disagi per i pazienti, frustrano le legittime aspettative di chi vorrebbe soltanto lavorare nella sua terra. Ed è per questo che nel giro di tre anni, ben 600 infermieri nati tra lo Stretto e il Pollino hanno deciso di espatriare. Le mete più gettonate sono l’Inghilterra e la Germania, dove le autorità ritengono indispensabile mantenere i livelli occupazionali dei loro ospedali anche con personale proveniente dall’estero. Esigenza vitale retribuita in maniera più che equa di fronte alla delicatezza d’una professione centrale come quella dell’infermiere. Non a caso, come registra la Federazione Ipasvi (cioè l’Ordine di categoria) l’incremento di giovani infermieri italiani emigrati all’estero s’è attestato su un impressionante 70 per cento.

Dati che preoccupano oltremodo Giovanni Gentile, infermiere di sala operatoria a Cosenza, coordinatore di un nuovo movimento sorto in quel settore col fine di rinnovare il collegio Ipasvi nostrano. Una realtà che non intende fermarsi al settore pubblico, ma allargare il raggio d’azione alla formazione professionale e anche ai colleghi in forza alle strutture private che «non sono certo infermieri di serie B». Gentile sottolinea che il rapporto di Almalaurea sull’occupazione «evidenzia ancora l’elevato tasso di disoccupazione nelle professioni sanitarie». L’apertura alle assunzioni, proposito che tuttavia procede a rilento, equivale a «migliorare la qualità di cure e assistenza». Tuttavia «come in ogni occasione che si rispetti, da molteplici parti arrivano proclami e attacchi, perdendo di vista l’obiettivo principale auspicato fino ad oggi ovvero avviare le assunzioni così tanto attese affinché queste possano porsi a garanzia del raggiungimento di un giusto livello di salute da erofare ai cittadini». Per questo motivo, la formazione assume un’importanza capitale: «In Calabria – aggiunge Gentile – c’è bisogno anche di una maggiore integrazione tra gli ambienti formativi, accademici e clinici, affinché tutto questo possa avere una ricaduta sia in termini occupazionali che di migliore assistenza».

Intanto, mentre la politica battibecca e proclama, centinaia di giovani scelgono di partire e mettere a disposizione di altre comunità le loro competenze. Ben pagati e apprezzati. Col cuore però sempre ben piantato in Calabria. Dove tanta gente avrebbe bisogno di loro.

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