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Il reggino Femia nuovo pentito del narcotraffico internazionale

Si chiama Antonio Femia il nuovo collaboratore di giustizia, che ha iniziato a raccontare quanto di sua conoscenza sul traffico internazionale di stupefacenti e sul sistema per “recuperare” nel porto di Gioia Tauro la droga importata dal Sudamerica. «Ho deciso di collaborare con la giustizia – ha raccontato il 34enne di Gioiosa Jonica – per la mia famiglia, e perché Brandimarte mi ha indotto a confessare una mia responsabilità, al limitato ed esclusivo fine di scagionarlo». Risale allo scorso luglio l’inizio della collaborazione di Femia con i magistrati della procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. La novità investigativa è emersa nel corso dell’u d i e nza preliminare di ieri del processo scaturito dalla maxi operazione antidroga “P u e rto Liberado”. Il pm Luca Miceli ha chiesto l’acquisizione di due verbali di interrogatorio di Femia, che è imputato, il 13 e 28 luglio scorsi. Alla richiesta del pm si sono opposti i difensori, che hanno ottenuto dal gup Barbara Bennato un termine per interloquire sull’opportunità di introdurre il narrato del neo collaboratore all’inizio della discussione. Arrestato in Toscana nel gennaio scorso, dopo essere sfuggito all’operazione “Puerto Liberado”, Femia è stato raggiunto in carcere lo scorso giugno da un’altra ordinanza custodiale nell’a mbito di un’altra operazione antidroga, “Santa Fé”. Antonio Femia, pseudonimo “Titta”, ha riferito ai pubblici ministeri Luca Miceli e Paolo Sirleo: «Ho sempre avuto un comportamento poco consono, in particolare commettendo truffe anche con il mezzo informatico. Successivamente mi sono imbattuto in questioni di droga. Inizialmente assicuravo lo scarico della droga nel porto di Gioia Tauro perché conoscevo le persone giuste. Grazie a questa mia riconosciuta serietà – ha proseguito – ho lavorato con i fratelli Alfonso e Nuccio Brandimarte. Quindi ho assunto il ruolo di tramite tra soggetti che avevano bisogno della droga e i Brandimarte. Costoro avevano una squadra di portuali infedeli, tra cui Vincenzo Trimarchi», imputato in “Puerto Liberado”. Femia racconta ai pm di rapporti con altri soggetti, dell’utilizzazione di nickname per evitare di essere scoperti, di viaggi all’estero per prendere contatti per l’a cquisto di droga, settore nel quale ha riferito di essere entrato grazie a un certo Fuda, con il quale sarebbe andato a Santo Domingo. Ed a proposito di stranieri Femia ha riferito: «Ricordo di un tale Miguel che conobbi quando consegnai due borse con un milione di euro. Ero a Roma in un hotel di lusso a via Veneto. Io alloggiai in hotel senza documenti, al mio rientro da un viaggio in Spagna. Gli stranieri una volta che prendevano i soldi – ha aggiunto – si avvalevano di soggetti con il ruolo di pick up money che si tenevano una provvigione del 15%». In un passaggio del verbale del 13 luglio Femia riferisce: «Non sapevo quando sarebbe stata eseguita l’o p e r azione, ma mi fu detto da C.V. che c’era un’indagine poiché un reparto del Goa (non so dire quale) aveva intercettato i nostri pin». Nell’i n t e r r ogatorio del 28 luglio rivela di un tentativo di importare 500 kg di droga con un veliero, che però non si riuscì a far giungere a Tobago, dove i colombiani, con a capo tale Fernando, attendevano. Con l’affare sfumato «Fernando ci propose di acquistare un veliero e noi accettammo»,ma «non riuscimmo a portarlo in Italia perché scattò l’operazione Puerto Liberado». 

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