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L’ex sindaco Basile ritenuto a capo di una cosca mafiosa

 La mafia totalizzante. Quella che controlla la politica, condiziona il mercato imprenditoriale, domina il settore turistico. Una mafia che neppure il siciliano Leonardo Sciascia e il calabrese Saverio Montalto avrebbero saputo immaginare tanto intraprendente e sfrontata. Una mafia cresciuta all’ombra della collettiva sottovalutazione, dei silenzi dei partiti, delle “distrazioni” istituzionali. Una mafia raccontata da un’inchiesta – “Plinius” – coordinata dal procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, e da una sentenza firmata dal tribunale di Paola, presieduto da Paola Del Giudice. Lo scenario storico-processuale è quello di Scalea, cittadina a vocazione turistica divenuta snodo d’interessi della ’ndrangheta calabrese e della camorra napoletana. Nessuno, prima di questa inchiesta e del verdetto dei magistrati paolani, avrebbe ritenuto possibile che un sindaco, Pasquale Basile, condannato a 15 anni di reclusione, potesse essere considerato il presunto “dirigente” di un’associazione mafiosa alimentata da due gruppi alleati e collegata al “locale” ’ndranghetistico di Cetraro. Una cittadina, quest’ultima, nella quale svolgeva azione politica nel 1980 Giannino Losardo, ex assessore e consigliere comunale del Partito comunista, prima avversato e poi barbaramente assassinato dalle cosche. Dell’aministrazione municipale guidata da Basile facevano parte nella qualità di assessori Antonio Stummo (parente diretto del boss Mario Stummo, cui sono stati inflitti 14 anni di carcere) e Francesco Galliano, entrambi già condannati in primo e secondo grado in un altro troncone del processo celebrato con rito abbreviato. Il livello d’infiltrazione criminale nell’ente pubblico territoriale scaleano, ricostruito dai carabinieri attraverso intercettazioni ambientali compiute anche all’interno dello studio legale dell’avvocato Mario Nocito (pure lui ora condannato a 15 anni di reclusione), hanno indotto il ministro dell’Interno a chiedere ed ottenere il commissariamento del Comune. Mai nell’Alto Tirreno cosentino era stata assunta da un governo repubblicano una decisione tanto grave. Ma c’è di più. Dopo la raffica di arresti partita nel 2013 con “Plinius”, la procura distrettuale di Catanzaro è intervenuta una seconda volta per demolire il nuovo ordine mafioso ricostituito in riva al Tirreno. Un “ordine” deciso per pacificare il territorio dopo le tensioni insorte e imposto per il tramite d’un autorevole “fiduciario” dei cetraresi: Emilio Di Iacovo, inteso come “lo stalliere”. È accaduto nel maggio scorso quando i carabinieri hanno stretto le manette ai polsi di altre 22 persone che, di fatto, – questa la tesi della Dda – avevano sostituito i predecessori. Ecco: chi immaginava Scalea come un luogo di vacanze destinato solo ad ospitare camorristi e ’ndranghetisti desiderosi di svernare dovrà ricredersi. Le “isole felici” vivono solo nelle fiabe. E non sempre.

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