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Omicidio Germanò, caccia aperta a Vittorio Ierinò

Calabrese della Piana di Gioia Tauro la vittima, calabrese della Locride il presunto killer. È impregnato di ’ndrangheta l’omicidio di Salvatore Germanò, l’ex collaboratore di giustizia giustiziato a Cuneo per una storia di usura. A sparargli una pistolettata in testa, per poi seppellirlo con il volto incappucciato e avvolto in telo di nylon, sarebbe stato Vittorio Ierinò, personaggio di primo piano delle ’ndrine di Marina di Gioiosa Jonica coinvolto nel rapimento di Roberta Ghidini, la studentessa di Brescia strappata alla famiglia e tenuta in prigione in Aspromonte. Come Salvatore Germanò, anche Vittorio Ierinò vanta un passato, burrascoso, nei ranghi dei collaboratori di giustizia. Ammesso ed espulso dal programma di protezione riservato ai pentiti, come capita a tutti coloro che non riescono, né vogliono, recidere i legami con la criminalità. Vittorio Ierinò (classe 1959) - si trovava agli arresti domiciliari a Torino per condanne subite a Reggio - è ricercato da giorni dai carabinieri. Gli danno la caccia da quando è stata fatta luce – seppure il quadro va ancora definito in tutti gli ambiti di responsabilità – sulla orrenda morte riservata a Salvatore Germanò, conosciuto nella Piana con il nomignolo “Turi u zingaro”. I due mandanti, entrambi rei confessi, Pantaleone Parlato, 53 anni, ex carabiniere ora in pensione, e Pier Giorgio Alessandro Mandrile, 43, geometra, hanno già ammesso di essere i registi dell’omicidio consumato il 18 luglio, lo stesso giorno in cui l’ex collaboratore di giustizia è scomparso nel nulla. Entrambi accusano Ierinò di aver premuto il grilletto. Loro due l’avrebbero ingaggiato per sparare. Ricostruzione dei fatti più che mai al centro degli approfondimenti dei pm di Cuneo. Che anche ieri, alle agenzie, hanno ribadito: «Ci auguriamo si costituisca, per rendere la sua versione».

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