Daniela vive con il figlio. Con Carmine che ha ucciso a coltellate. Lo vede, gli parla, l’accarezza. Come è accaduto in quelle 48 ore trascorse chiusa in macchina, tra i boschi del Paolano sferzati dal Maestrale e dalla pioggia. La sua mente è rimasta imprigionata in quell’auto, con Carmine ghiacciato dall’arrivo della morte e lei intenta a coccolarlo, come se fosse vivo. L’esame psichiatrico eseguito su questa madre omicida tanto simile a Medea e pure tanto folle di dolore quanto Ecuba, madre di Ettore, rivela i tratti raggelanti d’un disagio profondo, d’una incommensurabile disperazione combattuta con la presenza d’un fantasma. Il fantasma “buono” d’un bambino assassinato a undici anni, che assiste, consola e rassicura chi gli ha tolto la vita. Quella di Daniela Falcone è la trasposizione moderna delle tragedie di Euripide, degli strazi e dei tormenti raccontati prima da Omero e, poi, da Virgilio e Dante. Dalla morte del figlio questa donna non parla più. Si esprime a gesti a causa di una afonia che non le permette di vocalizzare i pensieri. Lo psichiatra Giorgio Liguori l’ha incontrata nel carcere di Castrovillari, dove era rinchiusa fino a ieri.
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