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Troppi giovani lasciano
la capitale della Sila

 Talvolta succede che se un anziano del luogo dovesse davvero adirarsi, non avrebbe remora alcuna a dire al malcapitato interlocutore “Te via ‘jire a Minonga!”, come dire.. “vai a morire a Monongah. Già, perché quest’appellativo fu qui “coniato” dopo l’immane tragedia di Monongah del 7 dicembre 1907, quando a causa dello scoppio di una miniera di carbone perirono tra le viscere della terra oltre 900 minatori. Di essi alcune centinaia di cavatori erano italiani, di cui oltre 30 di San Giovanni (altri ancora di San Nicola dell’Alto, Strongoli, Falerna, Gizzeria e Castrovillari). Dunque, da queste montagne della Sila, si emigra da sempre. E il clou si raggiunse verso la fine degli anni ’60: quando 7500 sangiovannesi andarono via per lavoro, soprattutto in Svizzera. In quel periodo, dalle rimesse degli emigrati arrivavano 6 miliardi dell’ex lira al mese alle Poste centrali. Un fiume di soldi tutto serbato a costruire case, gran parte delle quali mai ultimate e disabitate. Era una sorta di “riscatto”sociale, ma il sogno dell’”Amara favola” presto svanì perché in tanti non ritornarono, né mai si videro più i figli di quella generazione. La diaspora, poi, come nel West Virginia segnò –però ancora San Giovanni con un’altra sciagura. Successe alla diga di Mattamark in Svizzera il 30 agosto del 1965, quando una montagna di ghiaccio franò e non ci fu speranza per i 107 operai sepolti vivi, di cui 55 italiani e 7 di San Giovanni. E se fino a un decennio fa emigravano “in cerca di fortuna” soprattutto operai e maestranze locali, adesso s’è invertita la rotta: a emigrare sono perlopiù laureati e diplomati. Nella sola Bologna risiedono oltre 1500 giovani del luogo; ma a “macchia” i sangiovannesi li incontri in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto e altre regioni. A fine agosto, come ormai accade da alcuni lustri intorno all’Epifania, da qui (capolinea) partono in una sera oltre 16 pullman stracolmi di questi nuovi dotti emigrati. S’impoverisce, quindi, sempre di più l’ormai desueta “capitale”della Sila: per numero di abitanti, per produzione, per iniziative private. Se a questo si assomma l’errore di avere dislocato tutte le scuole secondarie nelle estreme periferie, ne viene fuori un mosaico dissacrante. Ogni mattina, infatti, il centro nevralgico è vuoto; privo di traffico, desolante. Mancano circa 4 mila ragazzi (pendolari compresi), che avrebbero animato la città. Per questo in tutti i settori si vende meno, complice – certoanche la crisi. E mentre gli ultimi dati danno la Calabria con circa il 22% di senza lavoro, San Giovanni è il paese simbolo degli emigrati e disoccupati. Un dramma senza fine, ancora più cupo poiché dall’opulento Nord non arrivano più offerte di lavoro. Un trend che nessuno aveva previsto, tranne forse la lucida intelligenza di Riccardo Misasi. Il quale, ancora in vita, in occasione di un convegno nell’Alto Jonio Cosentino, ebbe a dire: «Badate, non c’è più una Questione Meridionale, con i venti secessionisti che soffiano.., ma dobbiamo anche “benedire” che c’è ancora il Nord Italia che dà risposte di lavoro..; ma quando anche il Settentrione dovesse andare in crisi.. si sfiorerebbe la tragedia della disperazione ». Come smentire lo statista bruzio?.

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