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Imposto il “pizzo”
pure sulla...fortuna

In Calabria non si può godere delle lucrose vincite ottenute al Superenalotto. Perché “mamma ’ndrangheta” bussa a denari pretendendo il “pizzo”. È questa la storia più singolare che emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro contro le cosche di Rossano. La vicenda è emblematica e merita d’essere raccontata. Il 2 dicembre del 2008 in una ricevitoria della cittadina ionica la “dea bendata”bacia in fronte un gruppo di giocatori che ha scommesso sul più importante concorso italiano usando un “sistema”. La cifra della vincita è da capogiro: 14 milioni di euro. La gioia e la sorpresa per due dei fortunati giocatori si trasformano presto in angoscia e terrore. I clan vengono a conoscenza dello straordinario incasso e cominciano a bersagliarne i beneficiari. Taniche di benzina, buste con proiettili, telefonate anonime, auto incendiate: una escalation fino alla visita dell’«emissario della cosca». Che fa una proposta: versare un milione per ritrovare la felicità. Pagare per credere. Intanto si registra la dura presa di posizione della Cgil con appello alla Prefettura di Cosenza a verificare «la piena agibilità democratica della istituzione comunale e del tessuto economico e produttivo della città». Ma il sindaco Antoniotti si dice assolutamente tranquillo: «Abbiamo la coscienza a posto».

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