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«Mi sono rivolto
a otto usurai»

de fazio - cimino

Con l’escussione di due testimoni dell’accusa è ripreso davanti alla sezione penale in composizione collegiale (presidente Giuseppe Spadaro, a latere Francesco Aragona e Gustavo Danise) il processo a carico di Bruno Cimino, Giuseppe De Fazio e Teresa Ferrise, tratti in arresto nel 2011, nell’ambito dell'operazione antiusura "Lex genucia" condotta dai finanzieri del Gruppo lametino guidato dal maggiore Maurizio Pellegrino. Protagonisti dell’udienza sono stati la presunta vittima dell’usura, un ex commerciante di autovetture, e la moglie di quest’ultimo. Entrambi, rispondendo alle domande dell’accusa e degli avvocati degli imputati, hanno fornito la loro versione dei fatti. A salire sul banco dei testimoni per prima è stata la moglie della vittima, che ha spiegato al collegio che si era rivolta alle “fiamme gialle” perchè era preoccupata per l'atteggiamento minaccioso di un uomo che cercava il marito con l'intento di recuperare un credito, invano, perchè il coniuge s'era allontanato dalla Calabria improvvisamente, abbandonando anche l'azienda e senza informare la famiglia della sua destinazione, per timore di ritorsioni da parte delle persone verso cui aveva contratto cospicui debiti. La donna, sotto il fuoco incrociato delle domande dell’accusa e della difesa, ha risposto con puntigliosità alle domande degli avvocati difensori che, in più di un’occasione, hanno posto delle particolari domande nel tentativo di far cadere in contraddizione il teste, rispetto alla versione dei fatti che la stessa forniva al collegio. Il presidente Spadaro infatti ha posto una serie di domande al fine di precisare alcuni passaggi riferiti dalla donna. Una testimonianza, quella della moglie della presunta vittima, durata oltre due ore così come per diverso tempo si è protratta la testimonianza delle presunta vittima dell’usura che, in momento di difficoltà economica in cui versava la sua attività, si sarebbe rivolto agli imputati per dei prestiti che avrebbe dovuto poi restituire con un tasso usuraio. Somme che, come ha ammesso lo stesso teste, non avrebbe restituito per mancanza di liquidità. La presunta vittime ha comunque ammesso di avere corrisposto ai presunti usurai il tasso usuraio. Il teste, rispondendo alle domande del pubblico ministero e della difesa, ha spiegato come «l'esposizione debitoria man mano cresceva » e che per questo, per poterla risolvere, si sarebbe rivolto a diversi usurai. Complessivamente ne sono stati individuati 8, che avevano praticato prestiti con la tecnica della "vendita" o del "cambio" di assegni, cioè consegnandogli o facendosi dare titoli, d'importo tra i 3mila e i 6.500 euro anche postdatati di un mese, pretendendo in cambio oltre alla somma per la copertura del titolo alla scadenza da 300 a 500 euro d'interessi, per un tasso annuo che variava dal 100 al 200%. Non risparmiando in alcuni casi minacce per indurre la vittima a pagare i debiti. Da qui la sua fuga dalla città. Un processo complesso e difficile sul piano dibattimentale che, in alcuni casi, ha visto contrapposti le posizioni della difesa con quelle dell’accusa e che non si sono tradotti in veri e propri battibecchi grazie all’autorevolezza del presidente Spadaro durante l’esame dei testi. Due degli imputati, De Fazio e Ferrise, sono difesi dall’avvocato Nicola Veneziano che, insieme all’avvocato Gabriel Ruffino, difende anche Cimino. Il processo, dopo l’escussione dei due testi dell’accusa, è stato aggiornato ad altra data.

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