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Studio dentistico,
irruzione armata
ma non è una rapina

L’inferno detona improvvisamente in uno studio dentistico con le pareti tutte bianche, le luci al neon, i pazienti in attesa d’essere ricevuti e gl’impiegati al lavoro in mezzo a pratiche e cartelle. L’inferno esplode tra quelle mura quando un branco di delinquenti irrompe in quei locali. Sono cani rabbiosi, armati di pistole e con i loro volti nascosti sotto passamontagna assai spessi. Urlano come animali, immobilizzano il medico e i suoi impiegati, agitando nervosamente quelle armi che stringono nelle mani. Sembrano voler qualcosa, forse quattrini, ma alla fine non prendono niente. E filano via senza bottino, continuando a minacciare e a intimidire i malcapitati. Sul caso indaga il pm Antonio Tridico. Un crimine apparentemente inspiegabile dopo aver scatenato il finimondo. Me, se vogliamo, inspiegabile è un po’ tutto quello che sta accadendo da alcuni anni a San Giovanni in Fiore. Sempre qui, nel centro cittadino, a settembre, un’altra gang di violenti fuorilegge massacrò di botte un giovane orafo all'interno della sua bottega per portarsi via un bottino modesto, pochi gioielli esposti sul bancone e qualche spicciolo in cassa. Salvatore Crivaro rimase ricoverato a lungo a Catanzaro, con la testa fracassata e traumi diffusi su tutto il corpo. Un incubo dal quale fatica ancora a tirarsi fuori. Ma è tutta San Giovanni che fatica a tirarsi fuori da questo vicolo cieco senza scampo. Il primo cittadino, Antonio Barile, da due anni è nel mirino della criminalità organizzata alla quale ha tolto il pane che le era stato garantito in passato. La verità è che in questo paradiso in terra ci sono ancora troppi enigmi irrisolti che resistono al tempo ed al silenzio della gente. Qui è tornata a dominare la ’ndrangheta. I clan riorganizzati hanno deciso di puntare dove avevano sempre puntato: al tessuto economico e produttivo del territorio. E così, esplorando le nuove rotte del malaffare, hanno messo le mani sulla Sila e San Giovanni in Fiore. I mafiosi qui cercano i soldi che fatturano le industrie del turismo e dell’agricoltura, gli appalti pubblici e la droga. E come falchi calano affamati sulle loro prede intascando mazzette. Le “coppo - le” sono tornate a comandare in questa storica casbah stretta fra i clan di Petilia e le ’ndrine di Cosenza, mescolanza di malaffare che non è mai stato solo crotonese e nemmeno esclusivamente cosentino. Gli equilibri del “buon ordine” saltarono dopo l’omicidio d’un macellaio, il 35enne Antonio Silletta che venne fatto sparire il 30 dicembre del 2006 e il suo cadavere carbonizzato fu rinvenuto, dentro il suo suv, dopo tre settimane di ricerche, a Fontana di Caccuri. Il centro della contesa era la droga e il controllo di un esercito di pusher e piccoli trafficanti. Erano gl’interessi per la cocaina e l’eroi - na ad armare sicari improvvisati. Dopo quell’omicidio sarebbero state gettate le basi per costruire una ’ndrina tutta sangiovannese, sottomessa ai crotonesi. E la cattura di due superboss del Cirotano, Silvio Farao e Cataldo Marincola, scovati in mezzo alla montagna che lega San Giovanni in Fiore ad Aprigliano, nel novembre del 2008, fu per gl’inquirenti il riscontro all’ipotesi d’una forte saldatura tra le mafie dello Ionio e la banda della Sila.

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