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Delitto Converso, la
Cassazione chiude il
caso con 3 assoluzioni

converso

L’omicidio di Luciano Converso rimane impunito. La Corte di Cassazione, rigettando la richiesta di condanna avanzata dalla procura generale di Catanzaro, ha infatti confermato l’assoluzione in appello delle tre persone inizialmente sospettate di aver organizzato l’agguato costato la vita all’imprenditore rossanese. Per la giustizia italiana sono dunque innocenti Nicola Acri, il fratello Gennarino e Massimo Esposito: il primo fino a ieri accusato di essere il mandante del delitto, gli altri due finiti nei guai come esecutori materiali della spedizione di morte portata a termine il 12 gennaio di sei anni fa in contrada Momena. Quella sera Converso venne massacrato a colpi di pistola davanti all’uscio di casa. In sua compagnia c’era una giovane, la barista Maria Rosaria Oliviero. Il ruolo della ragazza si rivelerà decisivo nell’andamento della vicenda processuale, contrassegnata da confessioni e clamorose ritrattazioni. La giovane inizialmente non seppe indicare agli investigatori chi fosse stato ad aprire il fuoco, tanto che venne addirittura arrestata per favoreggiamento. Mentre veniva trasferita nel penitenziario femminile di Castrovillari, però, chiese di parlare con il fratello, don Antonio Oliviero, un prete. Il religioso, prematuramente scomparso al culmine del processo, rivelò prima in forma anonima e successivamente di persona di aver ricevuto una confidenza dalla sorella: i nomi dei due killer, indicati proprio in Gennarino Acri e Massimo Esposito. La giovane barista, che in sede d’incidente probatorio aveva confermato quella versione dei fatti, ha poi negato tutto, precisando di non aver mai reso dichiarazioni accusatorie, men che meno contro i due ragazzi rossanesi. Gennarino Acri e Massimo Esposito, scarcerati subito dopo l’assoluzione in appello, tirano adesso un lungo sospiro di sollievo. Le accuse che gli erano costate la condanna in primo grado sono definitivamente cadute. Altri guai giudiziari attendono invece Nicola Acri, oggi detenuto dopo un periodo di latitanza: la Dda di Catanzaro ritiene che l’ex primula dagli occhi di ghiaccio sia stato uno degli esponenti di spicco delle cosche di ’ndrangheta attive nella Sibaritide e nel Crotonese. La sentenza della Suprema Corte è stata accolta con soddisfazione dal collegio difensivo composto dagli avvocati Giovanni Giannicco, Giovanni Destito, Giuseppe De Marco, Antonio Sanvito, Pietro Pitari e Nico D’Ascola.

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