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Inflitto l’ergastolo
al boss di Gerocarne

bruno emanuele

 Ergastolo. La parola riecheggia nell’aula d’assise semivuota segnando la fine d’un processo dall’esito forse scontato. Bruno Emanuele, 42 anni, di Gerocarne, è stato ritenuto responsabile di due omicidi compiuti nella Sibaritide in meno di un anno, a cavallo tra il 2003 e il 2004. Fu lui secondo la Corte a far fuoco con un fucile calibro 12 caricato a lupara prima contro Nicola Abbruzzese e, poi, all’indirizzo di Antonio Bevilacqua, inteso come “Popin”. Due agguati “perfetti” portati a termine senza provocare vittime collaterali nell’ambito di un rapporto per così dire sinallagmatico intessuto con “Tonino il diavolo” al secondo Antonio Forastefano, peer lungo tempo signore e padrone dell’area compresa tra Sibari e Cassano. Emanuele e Forastefano facevano affari e uccidevano insieme, scambiandosi “piaceri”mortali. È stato proprio Forastefano a raccontarlo al pm antimafia Vincenzo Luberto, quando ha deciso di collaboratore con la giustizia. «Io consideravo Bruno Emanuele – ha detto il boss pentito – come un fratello. Ebbe bisogno di me per eliminare i fratelli Loielo, a Gerocarne che gli davano dei problemi nel suo territorio. Ed io, nell’aprile del 2002, feci da killer. Poi fu lui, nell’ottobre di quello stesso anno ad aiutarmi ad uccidere Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese a Cassano, che erano diventati un fastidio per me. Chiesi una mano, visto che io l’avevo aiutato prima, e lui non si tirò indietro». Sparavano insieme, i due padrini. Da Cassano a Gerocarne, l’uno aiutava l’altro e insieme erano infallibili. Antonio Forastefano e Bruno Emanuele si erano conosciuti per organizzare la rapina a un furgone blindato finita nel sangue. Era il 1998 e la banda dei cassanesi aveva progettato l’assalto in un piccolo comune del Vibonese, Vazzano. Emanuele avrebbe dovuto fornire appoggio logistico. Il commando però trovò ad attenderlo i carabinieri e ci fu uno scontro a fuoco. Uno della banda, il cugino dell’ex capobastone, Maurizio Forastefano, fu ucciso mentre suo fratello, Leonardo rimase paralizzato. «Ci fu una soffiata fatta dagli zingari – ha spiegato Forastefano – e finì in tragedia. Lo capimmo perché gli zingari che dovevano far parte del commando non si presentarono». Bruno Emanuele, difeso dagli avvocati Giancarlo Pittelli e Enzo Galeota, si è però sempre protestato innocente. La sua versione dei fatti non deve tuttavia aver convinto la Corte (Antonia Gallo presidente; Vincenzo Lo Feudo giudice a latere) che gli ha inflitto l’ergastolo come richiesto dal pm Luberto. 

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