L’etichetta del folle, Emanuele J. De Simone, non se l’è mai sentita appiccicata addosso. Anche quando molti ritenevano la sua idea di impiantare, nel cuore del Parco Nazionale della Sila, un vigneto a 1.300 metri di altezza un’impresa assurda, una bocciatura che la natura avrebbe riservato anche ai più audaci, lui e la sua famiglia non hanno mai abbandonato l’idea della viticoltura eroica. Così la visione di questo giovane imprenditore calabrese è diventata una splendida realtà. Quei grappoli resilienti alla neve e alle temperature, a cui è esposto il vigneto di famiglia a Cava di Melis – piccola frazione di Longobucco nel Cosentino –, dal 2010 continuano a donare vino bianco, rosato e rosso, esportato in tutta Italia e all’estero. E, come accade spesso, molti si sono ricreduti, diventando sostenitori di questo calabrese che, appoggiato con il cuore e la mente dalla sua famiglia, ha saputo ascoltare il suo intuito. Nessuna improvvisazione, ma tanto studio, ricerca e cura preziosa per la biodiversità: questo l’inizio e il continuum del viaggio di Emanuele, ingegnere di 32 anni che, con la mamma Immacolata Pedace – «È quella che più mi ha sostenuto, in ogni momento» – e il padre Emanuele ha creato l’azienda agricola “Pedace”. Un’unione che ha dato vita al vigneto più alto d’Europa, a ben 1300 metri di altezza: i terreni hanno una pendenza che arriva anche all’80%; le temperature qui su, tra i grappoli protetti dal monte Altare con sguardo rivolto sul lago Cecita, possono raggiungere d’inverno anche i -25°C, d’estate superare i 30 fino a un’escursione termica notturna di 3°; la raccolta si effettua tra ottobre e novembre. Con voce gioiosa, intervallata da sorrisi che contagiano, Emanuele racconta come è iniziato tutto: «A sedici anni coi miei genitori abbiamo acquistato a Cava di Melis 5 mila metri di terreno. Avevo letto della viticoltura eroica, del vigneto più alto d’Europa in Valle d’Aosta, a 1150 metri. “Perché lì sì, e qui no?”, dicevo. Ad eccezione della mia famiglia, tutti gli altri mi presero per matto, ma non me ne sono curato. Così, nel 2006 ho chiesto l’autorizzazione alla Regione per impiantare un campo sperimentale, che oggi copre la superficie di 2 ettari e mezzo. Il via libera è arrivato nel 2008, anno in cui ho impiantato le prime 500 barbatelle. Tutte le varietà di vitigni autoctoni e internazionali, come il Cabernet Franc e il Cabernet Sauvignon, perché non sapevo quale riusciva a vegetare e ad attecchire». Nel 2010 la pima vendemmia, con vini totalmente diversi, in cui i punti che potevano essere di debolezza, sono invece la spinta per contraddistinguersi. L’azienda vitivinicola cresce: la famiglia acquista nel tempo altri terreni, si affida a tre agronomi e a un enologo, produce vino. Intanto, Emanuele si divide tra la vita da contadino e quella di studente universitario, fin quando non si laurea all’Unical in Ingegneria civile. «E, non a caso, applichiamo l’ingegneria in tutto il vigneto. I fili della vigna sono raddoppiati, ad esempio, perché devono sostenere anche il peso della neve. La cantina è stata progettata da noi. Ogni cosa ha un suo disegno, uno studio, come l’esposizione e la resistenza delle piante del vigneto». Si ferma un attimo e poi continua il suo racconto: «Ci sono momenti di scoramento. Dobbiamo fare i conti con diverse problematiche legate al clima, come le gelate che rischiano di vanificare tanti sacrifici. Per questo ci siamo specializzati con determinate procedure. Questo territorio, dalle connotazioni uniche, dona caratteristiche straordinarie ai nostri vini. Ci impegniamo per la tutela e la conservazione del paesaggio, per recuperare tradizioni e trasmetterle alle generazioni future, insegnando antichi-nuovi mestieri». Il legame con la Sila è impresso anche nei nomi delle quattro diverse etichette di vini IGP Calabria prodotti da questa azienda. Il rosato Silva per omaggiare la “Silva Brutia” (Selva Bruzia); il rosso Lykos, lupo, simbolo della Sila; il bianco Chione, dedicato alla divinità della neve; il rosato Anthea, dea dei fiori. Con gli ultimi due ha partecipato al “Concorso Mondial des Vins Extrêmes” che si tiene ad Aosta e premia i vini prodotti in condizioni estreme. Nel 2021, il vigneto di Cava di Melis con il rosato Anthea si è classificato tra i migliori vini al mondo. Proprio Anthea è gioia in famiglia, che esula dal premio: infatti, è la piccola che Emanuele e la sua compagna Francesca hanno messo al mondo due anni fa. Con le sue manine partecipa alla vendemmia e sbuca ogni tanto nelle escursioni dei turisti nel vigneto più alto d’Europa. «Le abbiamo regalato da poco un asinello. Anthea sta imparando l’importanza della natura, dei suoi cicli e di quanto tutto vada rispettato», dice con entusiasmo. I progetti? Tanti, alcuni di prossima inaugurazione, anticipa Emanuele: «Stiamo ultimando in azienda il museo del vino/punto vendita e a giugno inviteremo i nostri ospiti, che arrivano da tutta Italia e dall’estero, a degustare i nostri vini e i prodotti tipici con dei pic-nic in vigna. Vengono durante tutto l’anno, ma il clou è nei mesi estivi: solo ad agosto le visite alla nostra azienda superano le 4 mila presenze. Così, anche Cava di Melis, frazione abitata da pochissime persone, si è ridestata per un rilancio sinergico che interessa questo borgo». Una chiave di volta per creare quel filo che sostiene le piccole realtà calabresi, così come quei grappoli succosi del vitigno più alto d’Europa che racchiudono sacrifici e regalano tutti i sapori di un sogno diventato realtà.