Alessandra Saraco usa i fili per cucire perline colorate microscopiche che daranno luce e valore ai suoi gioielli. Con la stessa lente di ingrandimento che adopera per i suoi monili, questa artigiana di Lamezia Terme (Catanzaro) guarda quelle trame delle sua vita che sta costruendo con le sue mani. Ha il sorriso gentile, lo sguardo dolce e un tono di voce gentile. È riuscita a capire quando era arrivato il momento di invertire rotta e rimettersi in gioco, sapendo anche i rischi a cui andava incontro. Così, mentre gli altri la davano per matta per essersene tornata in Calabria e aver lasciato una carriera, lei invece era certa che il lavoro di prima non le portava felicità. Dopo il ritorno e altri ostacoli, ha dato vita a quella vena artistica e creativa che aveva chiuso in una valigia, per trovare nella sua terra natia il suo posto nel mondo.
«Avevo perso il lavoro. Ero disorientata, spaventata. Un giorno d’estate ero con mia sorella ad Amantea per un giro. Mi sono fermata davanti a una gioielleria: immobile ad ammirare bracciali e orecchini molto particolari. Erano gioielli in Soutache. Ho iniziato con questa tecnica e non mi sono più fermata». Il Soutache è una particolare tecnica di tessitura, nota anche come “Spiga russa”, con la quale Alessandra realizza a mano gioielli eleganti, originali, unici. Con ago e filo, cuce intorno alle piattine di tessuto delle perline, pietre e cristalli. Ci vuole molta pazienza, tempo e precisione.
«Era un’antica tecnica usata per decorare le casacche militari e gli abiti degli Zar. All’inizio tutto sembrava difficile, ma la mia vena creativa, tenuta per troppo tempo chiusa, era assetata», ricorda. Ha cominciato a seguire diversi tutorial sul Soutache. Lavorava anche di notte per cercare la perfezione, per apprendere il più possibile. «Ho comprato le piattine per realizzare i primi accessori moda con il Soutache. All’inizio non erano perfetti. Ma col passare del tempo e la pratica con questa e altre tecniche di tessitura i lavori sono migliorati. Sono soddisfatta. Non mollo mai, anche perché finalmente in Calabria ho trovato il mio posto nel mondo». Ora spedisce i suoi “preziosi” in tutta Italia e persino in Russia, la patria del Soutache.
E se di fili si parla, lei li annoda anche per tornare indietro nel tempo. «Mi sono iscritta al Liceo Classico anche se volevo fare l’Artistico. Stessa cosa per l’università a Roma: l’iscrizione a Giurisprudenza ha soppiantato la voglia di seguire Psicologia. Alla fine ho mollato l’Università e iniziato a lavorare nella capitale in un grande ente pubblico. Appena ho firmato il rinnovo di contratto, però, ho sentito qualcosa dentro. Dopo poche ore, ho fatto le valigie e me ne sono tornata in Calabria. Senza lavoro, senza nulla. Il mio capo l’indomani rimase di stucco. Mi disse di ripensarci, ma ormai avevo scelto». A Lamezia, Alessandra trova un impiego, ma dopo va in cassa integrazione. Poi l’illuminazione davanti quella gioielleria e la decisione di riprendere quella valigia lasciata nella mansarda di casa. «La Calabria mi ha dato l’input perché ho dovuto ricominciare. Creare gioielli è nato come un hobby, adesso è un lavoro. Mi sono lanciata e mi sono fatta conoscere sui social. Ma soprattutto conosco meglio me: quando creo, tutti i pensieri spariscono. È un mondo fatato che mi allontana dalla monotonia, dai problemi che abbiamo tutti. Ogni volta rinasco».
Non solo Soutache, ma anche Embroidery e Peyote. Per realizzare i suoi gioielli artigianali, Alessandra usa anche più tecniche insieme: «Unirle è la parte più bella. Per ognuno scelgo i colori (se su commissione, la scelta dipende dal cliente, anche se per lo più si lasciano consigliare); le piattine da mettere intorno; quali cristalli, perline e pietre usare; quale forma è meglio di un’altra». Adopera la sua lente di ingrandimento (le perline per la tessitura col punto Peyote sono minuscole) e una luce particolare per cucire e creare questi monili che stanno conquistando tante persone, con richieste che arrivano da più parti d’Italia e dall’estero. Ogni tanto ci sono i momenti di stasi. Ma lei non si ferma. I suoi “preziosi” sono luminosi, colorati, raffinati. I colori scelti mettono armonia, infondono calore per sentire quanto lavoro c’è dietro ogni bracciale, ogni ciondolo, ogni spilla che realizza a mano.
«Credo che il gioiello debba illuminare in modo elegante. Punto molto sui colori che mostrano il lato allegro, luminoso anche nelle giornate grigie», confida con la sua voce delicata. Anche quando qualcuno definiva i suoi bracciali “da bancarella”, non ha mollato. Dimostrando che con la tenacia e la passione si arriva ovunque, anche quando hai il vento contro e pochi credono in te. Ma soprattutto ogni volta che finisce un bracciale, una collana o qualsiasi gioiello in Soutache, quella resilienza si rinforza, si riaccende. Si è sentita dire la fatidica frase “Chi te l’ha fatto fare”. Un interrogativo che consolida quell’abitudine, anche se spesso senza malignità, di non rispettare le scelte, di dare qualche consiglio non richiesto. «L’ho fatto in Calabria, dove la maggior parte crede che non si possa creare nulla di buono. Ho insistito e piano piano quelle ritrosie si stanno smontando. Gli steccati da superare sono tanti, ma credo che nella vita arrivi il momento di osare. Non mi sono più posta la domanda sul mio futuro altrove. Di certo è stata dura. Lo è ancora adesso. Ma non intendo mollare. Resto in Calabria, realizzo i miei gioielli e sono serena».
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