Probabilmente quando hanno aperto i battenti non si aspettavano che una maison di lusso conosciuta in tutto il mondo li avrebbe contattati per proporgli una collaborazione. E la cooperativa “Nido di Seta” è davvero traboccante di gioia per essere diventata fornitore di materia prima per una produzione di grande qualità, al 100 % made in Italy.
«Siamo tre ormai ex ragazzi che hanno fatto una scelta controcorrente. Io personalmente – racconta Miriam Pugliese – con i miei genitori mi ero trasferita in Lombardia quando avevo meno di un anno. E San Floro, un paese di pochissime anime nel Catanzarese, era il luogo in cui tornavo sempre. E qui, dopo varie esperienze , ho trovato la mia strada: coltivare bachi di seta insieme a due mie vecchie conoscenze, Giovanna Bagnato, e Domenico Vivino, oggi mio marito, che allora era fresco di una laurea da 110 e lode. Il nostro obiettivo? Riportare in vita una tradizione antica. E bisogna ricordare che Catanzaro è stata il centro manifatturiero d'eccellenza dell'arte della lavorazione della seta. Nel 2013 è così nata la cooperativa "Nido di Seta" e nel 2014 abbiamo iniziato con i primi allevamenti».
I ragazzi hanno cominciato a lavorare su un terreno comunale abbandonato, di 5 ettari, non sono proprietari di nulla, ma di fatto hanno accesso tradizione e futuro nel piccolo centro a 270 metri di altezza che aspettava il suo riscatto: «Alla fine abbiamo pensato di sfruttare una risorsa per far rinascere anche il territorio. E tramite la seta abbattere nello stesso tempo quegli stereotipi dilaganti che accompagnano la nostra Calabria. Quando abbiamo iniziato avevamo ovviamente gli occhi puntati addosso perché di fatto stavamo facendo qualcosa di particolare: tornare a sporcarci le mani di terra come avevano fatto i nostri nonni. Ma alla fine ci siamo fatti apprezzare e abbiamo dimostrato che non stavamo seguendo una moda del momento».
E in questi 9 anni i tre “avventurieri” hanno compiuto un percorso che ha superato tutte le aspettative: «Inizialmente – precisa Miriam – pensavamo più a una vita bucolica e ad intrattenere qualche visitatore. E invece ci sono stati degli sviluppi importantissimi. Siamo l'unica realtà in Italia in cui tutto si basa sulla gelsi bachicoltura e per sostentarci abbiamo dovuto rendere la nostra attività multifunzionale. Abbiamo il lato agricolo che ci permette di realizzare tisane, confetture e liquori; il settore artigianale che parte dalla post-lavorazione del bozzolo e che ci consente di arrivare al prodotto finito. E questo è possibile, lo dico con grande orgoglio, grazie ad una rete di artigiane che lavorano in Calabria. E a tal proposito abbiamo cercato di creare una sorta di distretto tessile, ma al posto delle industrie, specializzate in ogni settore, abbiamo proprio delle risorse umane che lavorano nei loro opifici e fanno di fatto dei mestieri che stanno scomparendo. Un buon modo per combattere lo spopolamento dei borghi e dare lavoro alle donne che pagano più di tutte nella nostra regione la disoccupazione. E ancora il settore dell'accoglienza: nel 2019, prima della pandemia, abbiamo registrato 650 presenze. Altro nostro chiodo fisso? La formazione. Abbiamo istituito un’accademia che ci permette di formare su tutti i vari aspetti del progetto serico. Arrivano da tutto il mondo, ricercatori e designer, per ampliare la loro conoscenza. Ma il nostro desiderio è trovare persone che vogliono dedicarsi a questa professione. Ed anche per questo si è studiato un “piano B” per continuare la tradizione».
L'anno scorso con una start up innovativa di Roma è stato fatto un importante investimento per arricchire tutte le conoscenze, creando un primo prototipo di filanda che sia in grado di produrre un filato che vada bene sia per l'utilizzo artigianale che per le industrie del lusso. In modo che la tradizione dei nonni possa vivere anche sulle passerelle internazionali e soprattutto con il trascorrere delle stagioni: «Andiamo avanti con entusiasmo e devo dire che il complimento più bello è arrivato dai bambini che con stupore ci hanno detto: "Allora, quello che fate qui, lo possiamo rifare anche noi nelle nostre realtà”. Insomma stiamo trasmettendo la bellezza di fare qualcosa per la terra. Del resto, è inutile nasconderlo, i bimbi crescono con un'idea cupa e denigratoria di questo posto». E proprio ai giovanissimi Miriam in conclusione lancia un messaggio: «A tutti dico andate, perché se io non avessi fatto le esperienze lontano dalla Calabria non avrei apprezzato la nostra ricchezza. E soprattutto: poi tornate. Perché è necessario scrollarsi l’idea che ci hanno inculcato da quando siamo nati: ovvero che al Sud non c'è niente ».
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