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Da 13 anni ho perso l'uso delle gambe, ma la tenacia trionfa: parola di Pasquale

Pasquale Greco, classe 1982, tennista paralimpico che vive a Prato, ma che ha cuore e radici in Calabria (originario di San Mauro Marchesato, nel Crotonese)

«Non nascondo che i primi periodi sono stati duri ma con il tempo sono riuscito a riprendere la mia vita e costruirne una nuova con gratitudine. Perché molti, purtroppo, non hanno avuto questa possibilità. Quando mi hanno dimesso dall'unità spinale di Firenze mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Dopo mesi uscii da lì in carrozzina, dovevo resettare tutto e ripartire». Nel 2009 un incidente motociclistico gli cambiò completamente la vita, facendogli perdere l'uso delle gambe. E quel giorno lo ricorda come fosse ieri e appare come un flashback dalla memoria. Era una giornata lavorativa come tante e alla destinazione mancava solo una svolta. Ma qualcuno gli tagliò la strada. Eppure, Pasquale Greco, classe 1982, tennista paralimpico che vive a Prato, ma che ha cuore e radici in Calabria, usa ancora, normalmente, un verbo particolare: “correre”, non a caso. Perché corre verso i suoi obiettivi, tanti, volando senza quei piedi che diventano superflui quando a darti gas ci sono le ali della forza di volontà.

«Sono originario di San Mauro Marchesato, nel Crotonese, però vivo ormai da tantissimi anni in Toscana. Ho lasciato la mia terra meravigliosa molto presto per motivi lavorativi, raggiungendo Torino prima e Prato poi, dove viveva Rosy, colei che sarebbe diventata mia moglie. In piedi, prima che la mia vita cambiasse, sciavo e ho imparato proprio da solo, a furia di ruzzoloni, tra le montagne innevate della Sila. E anche dopo l'incidente avevo provato con il monosci, anche se poi sono stato completamente rapito dal tennis in carrozzina». La possibilità  di prendere una racchetta in mano il giovane l'ha avuta grazie anche al Gruppo Sportivo Unità Spinale Firenze Onlus, un'associazione che aiuta tutti i diversamente abili  che fanno sport con loro: «Tutto iniziò perché un giorno sono stato invitato ad un evento in cui c'era la Nazionale di tennis in carrozzina, e devo dire che da quel momento ho provato e non ho più lasciato, anzi mi ha proprio dato una spinta in più».

Una vera forza della natura Pasquale, attaccato in maniera viscerale alla Calabria. Lui gareggia anche agonisticamente e ha portato a casa due vittorie, una a Pavia e una a Livorno, sognando la vetta del tanto agognato ranking nazionale: «Io ho ancora parecchio da scalare ma in Italia mi sono classificato nel 2018 tra i primi 7 e sono stato convocato per un master a Gallarate. Ma bisogna lavorare ancora sodo e gareggiare per ottenere sempre migliori risultati, perché fare tornei giocandosela fino in fondo è l'unico metodo per riuscirci. E diciamo che io punto a classificarmi fra i primi 5 e sto lavorando per questo, continuando a essere umile e pedalando».

Aveva solo 26 anni Pasquale quando ha dovuto imparare a ricostruire una nuova esistenza e la fase più difficile se l'è scrollata di dosso quando è ripartito una seconda volta dalla sua Calabria: «Dopo l'incidente ero tornato a casa dalla mia famiglia – ricorda con un velo di commozione – pensando che tutto era finito e che non avevo altra scelta. Pian piano ho capito che dovevo fare qualcosa, perché i genitori ti proteggono tantissimo e mamma stava lì a parare qualsiasi potenziale caduta, amorevolmente, quando passavo dalla carrozzina al divano. Quindi capì che in quel modo non avrei imparato tutte le cose che mi sarebbero servite per andare avanti da solo. E così dopo pochi mesi guardai la mia metà, che non era ancora mia moglie, e le dissi che era arrivato il momento di andare per cercare di diventare autonomo il più possibile. Per molto tempo quando tornavo leggevo negli occhi dei miei la sofferenza e proprio per questo è capitato di anticipare la partenza senza avvisarli, alzandomi anche in piena notte». Pasquale ammette di essere felice di aver vissuto questa sua “nuova vita” in un luogo che pensa tantissimo ad abbattere le barriere architettoniche e ritiene che la sua terra d'origine in questo senso debba fare parecchi passi da gigante. A coloro che vivono una disabilità e non solo, suggerisce: «Lo sport è vita e per questo consiglio di avvicinarsi a una disciplina sportiva, perché mi ha fatto capire che si può vivere così. Grazie allo sport ho conosciuto nuovi amici e trovato nuovi stimoli e ho imparato a superare alcuni limiti anche se non è tutto rose e fiori. Non mi ritengo un eroe». Nel suo futuro vede tanti successi sportivi da condividere con il figlio Roberto e un libro autobiografico da scrivere a quatto mani con la moglie, una ragazzina diventata donna accanto a un uomo che vuole “pedalare” senza piangersi addosso.

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