Gambero rosso lo ha premiato nel 2020 come miglior chef under 30 d'Italia e il grande pubblico lo ha conosciuto nelle scorse settimane in veste di giudice a Masterchef, ospite di Bruno Barbieri, Antonino Canavacciuolo e Giorgio Locatelli. Nella puntata andata in onda lo scorso 17 febbraio dal Museo del Novecento di Milano, in effetti, Emanuele Lecce è stato chiamato tra i giurati (dieci giovani chef stellati) che dovevano pronunciarsi sui piatti con i quali si sfidavano i concorrenti. Emanuele, classe 1993, giovane e talentuoso chef è un calabrese innamorato della propria terra che ha frequentato il mondo per amore dei viaggi e per portare quei miglioramenti che secondo lui sono necessari. Anche se la base restano sempre le materie prime e le tradizioni. Il suo regno è la Tavernetta, a Camigliatello, in Sila. Lo spazio alla formazione, Emanuele lo ha dedicato solo quando si chiudeva temporaneamente, consapevole che ogni tempo, anche quello dello stage, è importante per apprendere. «I miei – racconta – hanno l'attività da ben quarant'anni e posso dire usando un termine particolare che sono stato "scodellato" nella cucina di famiglia nel gennaio del 1993. Capovolgevo le cassette d'acqua per recuperare altezza e arrivare ai fornelli. Fin da bambino essendo appunto figlio di un ristoratore passionario e visionario ho potuto utilizzare gli strumenti più sofisticati e innovativi presenti nella cucina di papà Pietro. Accanto a lui c'era mamma Denise, grande gastronoma e devo dire che entrambi hanno sempre portato le migliori materie prime importando quello che ci mancava dall'estero. Ho potuto assaggiare i prodotti più prelibati e sconosciuti che arrivavano dalla campagna di fianco o dalla più rinomata produzione mondiale, così per i vini, in una cantina che annoverava oltre mille etichette, ho avuto la fortuna di gustare il più vicino Cirò fino al più spettacolare Romanèe Contì».
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