Il suo nome è sinonimo di bravura e umiltà. E anche se ha conquistato letteralmente la Grande Mela, con i suoi progetti di architettura strabilianti che regalano visioni oniriche, lui, Giuseppe Samà, architetto quarantenne rivestito di italico ingegno, non ha mai dimenticato le sue radici a Fuscaldo, nel cosentino. E il progetto di cui va più fiero è l’arredamento di una residenza di lusso all’interno del grattacielo progettato da Renzo Piano: il 565 Broome SoHo. Tra i suoi mentori ricorda invece con orgoglio Anhony Brusco, tra i più grandi industriali tipo-litografici di New York, cultore di arte e bellezza e di talenti, attaccato in maniera viscerale alla Calabria. E proprio Samà ha iniziato il suo primo progetto americano costruendo la sua villa. «Sono nato a Paola, ma cresciuto a Fuscaldo – racconta il giovane talento – e ricordo il periodo dell’infanzia con un velo di malinconia. Ancora oggi, quando mi guardo indietro, mi mancano prepotentemente quelle giornate, il caffè pomeridiano a casa di amici e parenti, la mia famiglia, i sapori della nostra cucina». Samà gli orizzonti li ha estesi molto presto. Dopo il liceo, come la maggior parte dei suoi coetanei, non sapeva cosa fare, ma alla fine incoraggiato da suo papà scelse di studiare architettura, e al terzo anno questo mondo lo rapì totalmente: «Dopo la laurea a Roma – continua – ho deciso di fare un master di secondo livello in restauro monumentale sempre nella capitale sotto la direzione de prof. Paolo Marconi. Contemporaneamente ho iniziato delle esperienze lavorative in uno studio di architettura, quindi alternavo studio e lavoro». Tra i cieli capitolini, intanto, nel professionista maturava l’idea di migliorarsi scoprendo realtà che potevano rivelarsi stimolanti e meno farraginose sul piano burocratico e così dopo 10 anni, nel 2016, ha fatto i bagagli per New York: «All’inizio è stata dura, mi sentivo solo e la voglia di tornare in Italia era sempre lì presente. Venire dalla Calabria e trovarsi in una metropoli come New York non è facile. Ho sofferto tanto la solitudine, ma ho tenuto duro come solo noi italiani siamo abituati a fare. I primi due anni e mezzo ho avuto ritmi molto alti e stressanti, arrivavo a dormire solo poche ore al giorno pur di completare i lavori. Nonostante le difficoltà e sofferenze, dopo questi anni posso affermare che rifarei tutte le stesse scelte». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria