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Elezioni, Calabria terra amara per i “paracadutati”. Bocciati Salvini, Boschi, Di Maio e Ingroia

Tutti i big nazionali, salvo le eccezioni de Raho e Scarpinato, bocciati nelle urne. Il messaggio (implicito) alle oligarchie dei partiti: ora più autonomia ai territori. Lontani i tempi dei pass ottenuti qui dai vari Berlusconi, Cesa, Bindi e Scilipoti

La Calabria utilizzata dai partiti nazionali come colonia per garantire spazi e seggi sicuri ai big in cerca di spazio? Un cliché da mandare in soffitta a giudicare i risultati del voto di domenica scorsa. La competizione tra il Pollino e lo Stretto si è rivelata una Caporetto per molti leader nazionali che qui speravano di trainare i rispettivi partiti di appartenenza. È il caso di Matteo Salvini, segretario di una Lega uscita malconcia dalle urne, che per la seconda volta ha scelto di candidarsi in questa regione. E se il 2018 la sottrazione del seggio è arrivata a legislatura in corso - e dopo la vittoria del ricorso presentato dalla forzista Fulvia Caligiuri -, stavolta lo stop è il frutto della modesta performance fatta registrare dal Carroccio a queste latitudini.

Stesso discorso vale per l’ex ministra Maria Elena Boschi, alfiere di un Terzo polo non in grado di catalizzare grandi consensi. La percentuale raggiunta - poco del 4 per cento - non è stata sufficiente a strappare uno dei 19 seggi in palio per i rappresentanti calabresi. Ancora peggio è andata al ministro uscente degli Esteri, Luigi Di Maio, fondatore di Impegno Civico, rimasto completamente fuori dal Parlamento.

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