Aeroporti internazionali, scali navali, palazzi patrizi nel cuore delle città europee, resort di lusso sudamericani e caraibici, ville portoghesi con vista sull'Oceano Atlantico, fazende nelle pianure colombiane, attici nei grattacieli nordamericani: la storia della cattura delle “primule” calabresi sembra immaginata da Ian Fleming.
Negli ultimi venti anni i latitanti della 'ndrangheta sono stati infatti inseguiti in giro per il mondo: dall'Indonesia al Canada, passando per Spagna, Germania, Paesi Bassi, Australia, Brasile, Francia, Colombia e Argentina. Per scovarli le forze dell'ordine italiane hanno seguito percorsi complessi, spiando Facebook e Istagram; intercettando telefoni satellitari e flussi di denaro svolgendo un costante lavoro di raccordo con le polizie di tutti i continenti. «Fare il latitante» diceva Peppino Piromalli storico capobastone della mafia nostrana «è la cosa più difficile!». Lui lo sapeva bene: fu un capitano dei carabinieri, Gilberto Murgia, a scovarlo nel suo nascondiglio nei lontani anni 80, dopo mesi e mesi di faticose ricerche, infiniti pedinamenti e estenuanti appostamenti compiuti nel cuore della quasi inviolabile Piana di Gioia Tauro. La “picciotteria” i suoi capintesta ha sempre saputo proteggerli bene e a lungo nel passato: basti pensare che l'uomo rimasto alla macchia più di chiunque altro in Italia è stato Michelangelo Franconieri, di Rizziconi, rimasto “uccel di bosco” per 43 anni, dal 1958 al 2001.
Ora però le cose sono cambiate: i “cacciatori” dello Stato hanno più mezzi e, grazie al progetto “I-Can” voluto dal vicecapo della polizia, Vittorio Rizzi, maggiori possibilità di coordinamento e scambio d'informazioni con le unità investigative degli altri Paesi.
Il cambio di passo è provato da una serie di accadimenti: 43 ricercati ammanettati in tre anni. Nomi e cognomi s'inseguono nella lista del Viminale. Per ripercorrerla partiamo da Antonio Strangio, 32 anni, di San Luca, latitante da sette anni, finito in manette a Bali, in Indonesia, il tre febbraio scorso. Stava tornando in Australia, dove viveva dal 2016, dopo una vacanza esotica. E' sospettato d'aver trafficato in droga.
A Saint Etienne, invece, qualche ora prima era finito in manette l'ultimo grande latitante dell'Alta Calabria, Edgardo Greco, pluriomicida ed ergastolano di Cosenza alla macchia dall’ottobre del 2006. Viveva facendo il cuoco in un ristorante-pizzeria di proprietà di un siciliano. Da giovane era diventato famoso per aver tentato di uccidere in carcere il boss bruzio Franco Pino; la fama era poi cresciuta con la partecipazione, nel 1991, all'assassinio di fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo.
Il 2022 è stato un anno particolarmente fortunato nella ricerca dei latitanti. A Buenos Aires, in ottobre, è stato individuato e ammanettato Carmine Alfonso Maiorano, 68 anni, di Cassano, indagato per traffico internazionale di stupefacenti e irreperibile dal 2015. Il sessantottenne è stato localizzato grazie all’uso smodato che faceva di Facebook, usando profili falsi. Utilizzava una identità fittizia ma chattava con i vecchi “compari” e gli amici sibariti e la circostanza gli è costata l'arresto.
Dall'altra parte del mondo e a due passi da noi, sempre lo scorso anno, altri due colpi delle forze dell’ordine: in Spagna sono stati infatti arrestati Vittorio Raso (a Castelfidelis nel giugno 2022) originario della Piana di Gioia ma residente nella provincia di Torino e Mario Palamara (Fuengirola - Malaga ottobre 2022) originario di Melito Porto Salvo. Raso, pochi mesi dopo, ha deciso di collaborare con la magistratura inquirente italiana svelando i nomi e le funzioni di tutti i narcos coinvolti nel grande giro della coca destinata a inondare le piazze piemontesi.
Nel marzo dell’anno prima, in Portogallo, era finita la latitanza di Francesco Pelle, detto “Ciccio Pakistan”, ergastolano di San Luca coinvolto nella faida culminata nella strage di Duisburg.
E sempre nel 2021, ma nella patria del Samba, era stato riacciuffato Rocco Morabito, detto “Tamunga”, di Africo, arrestato prima in Uruguay nel 2017 e, dopo una clamorosa evasione dal carcere di Montevideo, ripreso in Brasile. In terra carioca avevano chiuso con la libertà pure Vincenzo Macrì, di Siderno, figlio di “Don Antonio”, bloccato nel 2017 nell’aeroporto di San Paolo mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto a Caracas; e Nicola Assisi, narcotrafficante di Grimaldi (Cosenza) attivo in Piemonte, scovato in residence di Praia Grande lungo il litorale di San Paolo, nel luglio del 2019. Con lui c’era il figlio, Patrick, insostituibile compagno di latitanza “dorata”, messo a fare la guardia a una stanza piena di soldi. Tutta “grana” guadagnata con la droga.
'Ndrangheta, le “primule” scovate dagli investigatori in giro per il mondo
Dall’Indonesia al Sudamerica. A finire per ultimi in manette sono stati Greco e Strangio
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