Un giro di fatture false per oltre 20 milioni di euro realizzato mediante almeno 7 società "cartiere", intestate a prestanome o a imprenditori compiacenti con sedi in Lombardia, Umbria e Calabria, per riciclare i proventi delle attività del clan 'ndranghetista della famiglia Arena di Isola di Capo Rizzuto, è stato ricostruito dai militari del Comando Provinciale Carabinieri e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo, che hanno dato esecuzione a un'ordinanza che dispone misure cautelari personali e reali emessa dal Gip del Tribunale di Brescia, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura bresciana, nei confronti di 33 persone. Sono ritenute gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione per delinquere, con l'aggravante di aver agevolato le attività della cosca 'ndranghetistica del crotonese, in relazione a condotte di usura, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, favoreggiamento, nonché reati tributari e fallimentari.
L'operazione
L’operazione s'inserisce in una complessa attività d’indagine, coordinata dalla Dda della Procura di Brescia - e originariamente svolta dai carabinieri di Bergamo. Le indagini hanno anche consentito di delineare, in ipotesi accusatoria, il ruolo di alcuni professionisti contabili, i quali - attraverso la propria opera di consulenza - sono indiziati di avere ideato e attuato modelli seriali di evasione fiscale a beneficio delle società riconducibili al sodalizio criminale. Sarebbe anche emersa, a latere, la compiacenza di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, destinatario di misura cautelare personale per l’ipotesi di corruzione, il quale - a fronte di sistematici compensi - è indiziato di essersi reso disponibile ad agevolare l’erogazione di alcuni servizi di natura fiscale richiesti da uno dei citati professionisti.
Gli arrestati
In carcere
Antonio Astorino (Isola Capo Rizzuto, 1982)
Michelangelo Lorenzi Caminneci (Rozzano, 1969)
Salvatore Cappa (Cutro, 1968)
Gerardo Cavallo (Eboli, 1968)
Orlando Demasi (Santa Caterina dello Ionio, 1975)
Marcello Genovese (Palmi, 1964)
Giuseppe Geraldi (Crotone, 1987)
Luca Litta (Milano, 1985)
Francesca Puglisi (Bergamo, 1969)
Rosario Scumaci (Catanzaro, 1984)
Antonio Settembrini (Alzano Lombardo, 1966)
Luigi Tarasi (Crotone, 1996)
Martino Tarasi (Crotone, 1988)
Pasquale Tipaldi (Crotone, 1981)
Giovanni Tonarelli (Svizzera, 1966)
Antonio Vasapollo (Crotone, 1982)
Antonio Villirillo (Crotone, 1968)
Rocco Villirillo (Crotone, 1995)
Ai domiciliari
Giuseppe Antonio Arabia (Catanzaro, 1965)
Antonella Arena (Crotone, 1992)
Mirko Borini (Occhiobello, 1975)
Terenzio Businaro (Santa Margherita D'Adige, 1947)
Carmela Brasacchio (Crotone, 1952)
Nicola Brasacchio (Crotone, 1952)
Danila Cavallo (Mesagne, 1981)
Luigi Cianciano (Sinagra, 1975)
Vincenzo Demasi (Torino, 1973)
Lia Alina Gabbianelli (Milano, 1958)
Salvatore Matteo (Crotone, 1992)
Salvatore Rocca (San Mauro Marchesato, 1959)
Alberto Tarasi (Crotone, 1996)
Gavrila Marius Timis (Romania, 1988)
Luigi Vrenna (Crotone, 1962)
Il ruolo della funzionaria dell'Agenzia delle Entrate: dieci euro per ogni pratica fiscale
Si sarebbe messa «continuativamente a disposizione» di uno dei commercialisti che, secondo la Dda di Brescia, facevano parte di un clan della 'ndrangheta radicato nel Bergamasco e con collegamenti con la famiglia Arena del Crotonese, la funzionaria dell’Agenzia delle Entrate finita ai domiciliari nell’inchiesta della Gdf di Bergamo che oggi ha portato a misure cautelari nei confronti di 33 persone. E avrebbe incassato un «compenso indebito» da «10 a 15 euro per ogni pratica svolta» a favore del professionista legato alla cosca. In particolare, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia Carlo Bianchetti, Lia Alina Gabbianelli, a cui viene contestata la corruzione, «funzionario in servizio presso l’Agenzia delle Entrate di Milano 5», tra il settembre 2019 e il febbraio 2021, avrebbe agevolato il commercialista Marcello Genovese (finito in carcere) «nell’esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica» che di volta in volta richiedeva. E gli avrebbe evitato «l'onere di presentarle allo sportello», si legge nell’imputazione, perché sarebbe andata lei «a prelevare le pratiche» in un ufficio indicato dal commercialista e se ne sarebbe occupata di persona. O le avrebbe fatte «lavorare da ignari colleghi». E avrebbe così ottenuto in cambio dal commercialista e da una presunta intermediaria «un totale di almeno 6.730 euro». L’accusa a carico della donna è uno dei 106 capi di imputazione contestati dalla Dda di Brescia nell’inchiesta che vede indagate 66 persone, 18 finite in carcere e 15 ai domiciliari. Genovese, secondo l’accusa, sarebbe stato alle dipendenze di un altro commercialista, Giovanni Tonarelli, e avrebbe gestito la «contabilità» delle società «cartiere» usate dal clan per realizzare frodi fiscali e altri reati.
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