Uomo dalla tempra dura. Walter Aversa è un poliziotto in servizio alla Polizia di frontiera, all’aeroporto di Lamezia Terme. Porta la divisa come suo padre, il sovrintendente Salvatore Aversa, ucciso su ordine della ’ndrangheta lametina insieme alla moglie Lucia Precenzano la sera del 4 gennaio del 1992. Col dolore nel cuore Walter Aversa ricorda quei momenti e rsponde alle domande come a voler significare che il sacrificio di quel poliziotto scomodo, caduto sotto i colpi di due sicari appartenenti alla “Sacra corona unita” non venga dimenticato.
Sovrintendente, ricorre quest’anno il trentennale dell’uccisione dei suoi genitori... Una piaga che si riapre?
«Questa ferita non è ancora chiusa, spesso di sera mi capita di pensare a quanto sia orribile perdere i genitori, sopratutto assassinati con quella violenza, e a quanto sia stato così improvviso ed inaspettato. Sembrano tanti ma i trenta anni trascorsi non sono bastati a rimarginarla....».
Quel terribile evento ha cambiato la sua vita e della sua famiglia?
«Purtroppo sì, e non poteva essere altrimenti. Ma fortunatamente la disperazione non mi ha impedito di vivere una vita dedita al lavoro e alla famiglia. Sono gli insegnamenti ricevuti dai miei genitori che mi hanno consentito di poter andare avanti mantenendo inalterate condotta e senso del dovere, nei limiti delle mie possibilità; lo devo ai miei cari e spero di aver tramandato alle mie figlie tutti quei valori che io ho ricevuto dai miei amati genitori, senza averli mai conosciuti le ragazze ne sentono comunque la mancanza».
Perché ha deciso di entrare in Polizia?
«Sicuramente non per emulare le gesta di mio padre, non ne sarei all'altezza. Salvatore Aversa è stato un Signor Poliziotto; la sua dedizione è stata esemplare. Ma ad un certo punto ho pensato che mi sarebbe piaciuto indossare la sua divisa, in fondo in famiglia abbiamo vissuto a pane e Polizia, e mi sono sentito più vicino a lui con la divisa addosso, stare al servizio della gente e tra la gente probabilmente è insito nel nostro Dna».
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