I "tradimenti" alla 'ndrangheta: Pino Scriva, negli anni 80, fu il primo di una lunga serie...
L’altra scelta. La storia giudiziaria calabrese è pure caratterizzata dalle decisioni controcorrente assunte da alcuni “predestinati”. Decisioni prese in anni lontani quando venire a patti con “sbirri” e magistrati appariva davvero come un salto nel vuoto. Nei primi anni 80 del secolo scorso, Pino Scriva, appartenente ad una famiglia “blasonata” della ‘ndrangheta di Rosarno, a lungo impegnata in una faida con i Cunsolo, decise di pentirsi. Fino a quel momento “Pinuzzo” - nipote dell’omonimo zio ucciso sulla poltrona d’un barbiere nel 1949 e figlio del temuto “Ciccio” Scriva - era conosciuto in Italia come il “re delle evasioni” perchè era stato capace di fuggire per sette volte da carceri e caserme. Non solo: il “figlio d’arte” rosarnese era stato pure imputato e assolto per l’omicidio dell’avvocato generale dello Stato di Catanzaro, Francesco Ferlaino, avvenuto nel 1975 a Nicastro. Quando, perciò, decide di “cantare racconta ai magistrati inquirenti retroscena di decine di omicidi, di sequestri di persona e traccia una mappa delle cosche mafiose e dei personaggi che le governano nelle province calabresi. È un terremoto che determinerà l’avvio di decine di procedimenti giudiziari, il più celebre dei quali verrà celebrato a Palmi e indicato dai cronisti dell’epoca come il “Processo alla mafia delle tre province”. La collaborazione di Scriva verrà spesso messa in discussione sebbene le sue dichiarazioni determineranno nel tempo numerose condanne al’ergastolo. “ Pinuzzo” era stato chiamato a deporre recentemente al maxiprocesso “Rinascita - Scott” istruito dalla Dda di Catanzaro contro le cosche vibonesi: la morte, però, l’ha ghermito prima. Pure Antonio Zagari era figlio d’un capocosca, Giacomo, che comandava a Varese, dov’era emigrato negli anni 50 proprio da San Ferdinando di Rosarno. Zagari, nei primi anni 90, con le sue confessioni mise nei guai il padre e altri congiunti oltre a una serie di ‘ndranghetisti attivi in tutta la Lombardia. Parlò di omicidi compiuti personalmente, di sequestri di persona, di traffici di droga firmando persino un libro di memorie criminali dal titolo illuminante: “Ammazzare stanca”. La sua vita si è conclusa tragicamente con un incidente stradale in moto avvenuto nella località protetta dove viveva sotto mentite spoglie. E sempre a Rosarno è finita tra le braccia dello Stato persino una donna, Giusy Pesce, nata in una famiglia che ha fatto la storia della ’ndrangheta moderna. La collaboratrice di giustizia ha accusato numerosi familiari sfidando il mondo in cui era cresciuta. Un segno dei tempi che cambiano.