Sedici condanne definitive e una posizione che dovrà essere ridiscussa in appello, ma solo per la ridefinizione della pena. Questo è quanto deciso, nella tarda serata di ieri, dalla Cassazione in merito ai ricorsi presentati dagli imputati finiti nell’inchiesta “Metauros”, operazione della Procura antimafia contro un’organizzazione di narcotrafficanti.
Diventano definitive le pene - riporta la Gazzetta del Sud in edicola - nei confronti di Alfonso Brandimarte, condannato a 19 anni e 2 mesi di carcere, e suo fratello Giuseppe Brandimarte detto “Nuccio” (18 e 10 mesi). La Corte ha confermato 10 anni e 8 mesi di reclusione a Mario Ietto, e 10 anni e 4 mesi agli imputati Vincenzo Crisafi e Antonio Calabrò; 10 anni e un mese a Vinicio Cambrea, 10 ad Antonio Campanella, 8 anni e 9 mesi a Francesco Siviglia, 6 anni e 9 mesi a Rocco Gagliostro, 6 anni e mezzo al collaboratore di giustizia Antonio Femia, 5 anni e 8 mesi ad Antonio Staiti, Giuseppe Galluccio e Vincenzo Caratozzolo, un anno a Vincenzo Trimarchi, in continuazione con la condanna già inferta in un altro procedimento. Unico ricorso accolto è quello di Giampietro Sgambetterra, condannato in appello a 9 anni e 8 mesi. Il nuovo processo d’appello servirà solo per la rideterminazione della pena.
Il processo nasce da un’inchiesta durata anni, costellata da un impressionante numero di sequestri di droga e che si fondava su una convinzione: dietro quel mastodontico traffico di stupefacenti non poteva che esserci una organizzazione ben strutturata. Era partito da queste poche riflessioni, il gup del Tribunale di Reggio Calabria per riassumere la sentenza di primo grado “Puerto Liberado” a carico della famiglia Brandimarte di Gioia Tauro.
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