Dopo tre anni di lavorazione, l’allestimento di una grande mostra e di una ricca pubblicazione, viene presentato al Marateale 2022 Premio Internazionale Basilicata il film “Figli del Minotauro/storie di uomini e animali di Eugenio Attanasio, prodotto dalla Cineteca della Calabria. Il documentario è stato selezionato nella sezione Green Award da una giuria composta da Paolo Genovese, Teresa Razzauti, Vivek Singhania e partecipa al concorso lungometraggi , che si terrà dal 27 al 31 di Luglio nella cittadina tirrenica. Un progetto antropologico complesso e articolato realizzato unitamente a Antonio Renda per la parte fotografica e a Nicola Carvello, per la cinematografia del documentario, che negli ultimi anni ha profondamente inciso nell’approccio sociale al fenomeno della transumanza, trasformandolo da pratica zootecnica e silvopastorale a fatto culturale. Lo dimostra il fiorire continuo di iniziative sul tema, dalla convegnistica all’escursionismo, al gastronomico, che interessano e coinvolgono pubblico e associazioni. Nel cast, oltre ai già citati, ci sono Mattia Isaac Renda, Gianluca Cortese, Salvatore Gullì Alessandra Macchioni, Franco Primiero, Francesco Stanizzi; i costumi sono di Stefania Frustaci.
L’opera filmica si distanzia dalla prevedibile frontalità di rappresentazione del pur suggestivo trasferimento di uomini e animali per abbracciare il racconto epico, con inserti di finzione, mantenendo un rigoroso registro documentario , senza l’ausilio di voce fuori campo. Sono gli stessi allevatori che scandiscono il ritmo della narrazione, disvelando le proprie verità alla cinepresa, coadiuvati dall’etnoantropologo Antonello Ricci, che ci svela il complesso mondo sonoro del pastoralismo. Gli uomini seguono da millenni lo spostamento degli animali. La famiglia Mancuso, da generazioni, pratica il pascolo transumante, trasferendo la mandria di podoliche dalle campagne di Marcedusa ai grandi boschi silani. Ancora prima della domesticazione, l’uomo continuava a seguire le mandrie di bos primigenius per poterlo cacciare ; questo grande erbivoro, che popolava le steppe e le foreste europee, veniva raffigurato nella grotta del Romito di Papasidero da uno dei primi artisti della storia, con significati magici-rituali ancora non del tutto noti. Nei millenni, con la nascita dell’allevamento si è modellato un rapporto e una società pastorale della quale i mandriani sono gli ultimi esponenti, custodi emeriti di una cultura, ancora radicata nei territori, unica nel suo genere.
I campanacci disegnano un paesaggio sonoro del pascolo che contraddistingue la pratica di un’agricoltura sostenibile, così a contrasto con l’idea di allevamento industriale nelle stalle. Eppure gli allevatori di oggi sono persone calate perfettamente nella contemporaneità, usando mezzi e strumenti tecnologici moderni, senza perdere i richiami e le consuetudini ancestrali che hanno legato gli uomini e gli animali. Così dal culto del toro, particolarmente attivo nel Mediterraneo si arriva a generare la figura mitica del Minotauro, sintesi dell’uomo, del divino e dell’animale, del quale i mandriani calabresi magicamente discendono. Si compie così la mitopoiesi della figura dell’allevatore transumante, magico trait d’union tra questi mondi antichi e mitologici e un presente
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