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"Una femmina" di 'ndrangheta, la storia calabrese di coraggio e ribellione conquista Berlino

Grande successo al Festival del Cinema di Berlino per l’opera interamente calabrese, girata a Verbicaro, del regista Francesco Costabile. «Un film complesso ma non complicato, denso di rabbia e umanità e che, nonostante la drammaticità e la violenza degli eventi, racconta come le donne siano riuscite a liberarsi dall'idea della ’ndrangheta»

Ci vuole tutta la sensibilità e il coraggio di una donna per raccontare il mondo che c’è dentro “Una femmina” presentato con grande successo al Festival del Cinema di Berlino. Una storia tutta calabrese: dal regista, Francesco Costabile, all’attrice protagonista, Lina Siciliano, sino alle maestranze. Il film girato a Verbicaro, vicino Cosenza, e ambientato in Aspromonte, è ispirato al libro-inchiesta di Lirio Abbate “Fimmine ribelli” e alle terribili vicende di Maria Concetta Cacciola e Giusy Pesce (e non solo loro), donne che hanno voltato le spalle alla ’ndrangheta pagando un conto salatissimo.
Una storia di coraggio e ribellione, di violenza sul corpo e sulla mente di una donna che ne rappresenta tante altre. Si concentra nella realtà chiusa e feroce della ’ndrangheta e mostra come la sopraffazione sia l’unica dimensione psicologica possibile, anche per chi reagisce. «Un film complesso – racconta Costabile – ma non complicato, denso di rabbia e al tempo stesso di umanità. E, nonostante la drammaticità e la violenza degli eventi, racconta come le donne siano riuscite a liberarsi dall'idea della ’ndrangheta. Ma è anche un atto d’amore verso la Calabria, un monito a un riscatto tutto femminile. Se ripenso alla mia storia personale, non avrei potuto immaginare miglior film per il mio debutto. Girare in Calabria era la mia priorità. Ho passato mesi a viaggiare nei piccoli centri dell’entroterra alla ricerca di volti, suggestioni e immagini che potessero dar vita alla mia visione. A cercare collegamenti con le esperienze traumatiche delle donne e a rendere tangibili la loro oppressione e impotenza. Volevo che “Una femmina” fosse un’esperienza interiore, intima, quasi irrazionale per il pubblico».

La carriera di Francesco Costabile

Francesco Costabile, 42enne regista cosentino “not binary” con una personalità e scelte esistenziali articolate, ha studiato al Dams di Bologna e al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove ha realizzato due apprezzati cortometraggi: “L’armadio” e “Dentro Roma”, Nastro d’argento e candidato al David di Donatello. Vanta documentari sul grande costumista Piero Tosi e su Pier Paolo Pasolini: dello scrittore ha narrato la fase giovanile legata alla scoperta dell'omosessualità e ai primi scandali dolorosamente vissuti nell'ambiente in cui era cresciuto. Le tematiche queer erano state invece al centro di “Fuoco nell'anima”. Ha anche lavorato con Gianni Amelio” in “Felice chi è diverso” e ha prodotto “Porn to Be Free” sulla nascita della pornografia in Italia e sulle sue ripercussioni culturali. Nel 2017, ha creato un festival no gender no border, che ha visto la collaborazione di artisti, performer e attivisti con una missione comune: scardinare le convenzioni, rompere codici prestabiliti e creare sinergie senza genere. La speciale sensibilità di Costabile è apparsa al produttore Edoardo De Angelis l'ingrediente migliore con cui condire una vicenda di presa di coscienza femminile, convinto che, dopo un documentario su Pasolini, avesse quel quid in più per raccontare la difficile convivenza dei generi nella cultura ancestrale della 'ndrangheta.
«Negli ultimi 15 anni – afferma Costabile – è accaduto qualcosa all'interno della ’ndrangheta. Il sistema che si basa sulla struttura familiare come sistema di controllo e potere si è improvvisamente frantumato grazie a alle prese di posizione delle donne che hanno mostrato la fragilità della ’ndrangheta. Famiglie potentissime si sono sfaldate con i piccoli atti di coraggio delle donne che probabilmente anche grazie a internet e ai social hanno avuto la possibilità di uscire dalla loro gabbia. Il mio film evidenzia la rottura, la scissione generazionale tra una donna anziana – che è un’ancella del potere patriarcale disposta a passare sopra la morte di sua figlia ed a vendere sua nipote per consolidare il potere familiare mafioso – e una ragazza, Rosa, che invece è la nuova luce, la speranza che porta in sé l'atto rivoluzionario di ribellarsi a un sistema patriarcale così rigido».

Il film si apre con la dedica «a tutte le femmine ribelli». E Lina Siciliano le sintetizza nel suo volitivo e magnetico personaggio. La protagonista, al debutto, sfodera una tale intensità da renderla il pilastro emotivo di tutto il film. La scelta del titolo non è casuale e il senso di soffocamento che si avverte, e che le inquadrature, spesso volutamente sfocate sul volto di Rosa sottolineano, è quello che sperimentano le donne in un contesto di abusi o in una condizione di lesa libertà. Probabilmente dietro la ’ndrangheta descritta da Francesco Costabile si nasconde anche l’espediente narrativo perfetto per raccontare il silenzio, l’umiliazione e la lotta delle tante donne prigioniere delle organizzazioni criminali e delle famiglie. Realtà dove subentra una gerarchia di rapporti che non si può scegliere perché è imposta dalle coincidenze più o meno fortunate della vita.
“Una femmina” in fondo possiede nel suo Dna il coraggio delle donne che fondarono Locri Epizefiri e che nessuno potrà mai sconfiggere.

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