Lo aspettavamo in tanti: il suo racconto delle realtà dei margini, nella loro disperazione e nella loro bellezza, da “cronista degli invisibili”, metà reporter metà poeta, era una delle cose più forti e speciali del servizio pubblico. E adesso è tornato: da oggi su Rai 3 andrà in onda in prima serata (ore 21.20) «Che ci faccio qui», il programma ideato e condotto da Domenico Iannacone, una co-produzione Rai-Ruvido Produzioni. Tre puntate per “riallacciare i fili”, ripercorrendo, dopo alcuni anni, un viaggio dell’anima già compiuto, per misurare persistenze e cambiamenti, e saggiare, ancora una volta, il potere d’un racconto che è sempre andato oltre le superfici e le rotte consuete. Iannacone, reduce da una trionfale tournée nei teatri di tutt’Italia in cui ha potuto incontrare di persona il “suo” pubblico, ma anche inventarne di nuovo (lui fa così: il pubblico se lo crea, mentre crea la sua voce, la sua ricerca), torna in tv e torna nel Sud. Riparte dal Sud, dalla Calabria.
Tra le storie, i volti, le voci di Bartolo Mercuri, il piccolo commerciante della Piana di Gioia Tauro che chiamano “Papà Africa” perché con la sua associazione “Il Cenacolo” aiuta gli ultimi degli ultimi, i migranti di Rosarno; di Antonino De Masi, imprenditore che ha pagato un prezzo altissimo per il suo coraggio di denunciare la ’ndrangheta. Ma anche, nel consueto modo di Iannacone di ribaltare i cliché e rivoluzionare il nostro sguardo, per raccontarci storie di pura bellezza e di futuro: lo straordinario Musaba di Nik Spatari a Mammola (Reggio Calabria), museo e laboratorio e risposta d’arte totale a ogni specie di male, ogni carenza e dolore del territorio; l’altro laboratorio, quello del professor Gianluigi Greco e dei suoi allievi a Cosenza, dove si lavora alla frontiera più avanzata del nostro mondo, quella dell’Intelligenza Artificiale.
S’intitola «Ti vengo a cercare», questa parte del viaggio di Iannacone: è quello che fa l’autore con le storie, ma anche con noi, il pubblico che ha costruito in tanti anni di racconti. Lui ci viene a cercare. Ne abbiamo parlato assieme.
Torna "Che ci faccio qui" e riparte da Sud, dove lo "spaesarsi" è sempre particolare. Torni con storie forti, che incrociano temi sensibili del nostro Paese e del nostro presente, dall'accoglienza al potere delle mafie, e che forse in un luogo come la Calabria sono ancora più forti: è la terra di Riace ma anche di Rosarno, della ’ndrangheta ma anche della prima linea di resistenza al suo potere. Perché, dunque, da qui?
«Riparto dai luoghi più feriti, riparto dal Sud, riparto dalla Calabria perché questa è la parte del nostro Paese che ha più bisogno di essere raccontata. Qui restano forti le grandi contraddizioni, i temi irrisolti della politica come la ’ndrangheta, l’immigrazione e lo sfruttamento dei braccianti a Rosarno. Era giusto ripartire dagli ultimi, dai senza voce, dai senza diritti per capire, lontano dalla sterile discussione dei talk televisivi, ciò che è accaduto negli ultimi anni. Un modo per comprendere meglio le sfide e contraddizioni che attanagliano il mezzogiorno. Ho scelto di raccontare un luogo dove la bellezza e la disperazione s’intrecciano in modo unico, dove ciò che sembra perduto si tramuta in maniera inaspettata modificando le nostre prospettive e abbattendo i luoghi comuni di chi giudica solo all’apparenza».
Dopo la tua felicissima parentesi teatrale, di nuovo il servizio pubblico. Che è un valore etico aggiunto al tuo lavoro: quanto è importante un servizio pubblico per l’informazione e non solo?
«Dopo la parentesi teatrale, tornare al servizio pubblico è una scelta che rinnova il mio impegno verso un’informazione che ha un valore etico fondamentale. La Rai non è solo trasmissione di notizie, ma un baluardo di democrazia, pluralismo e inclusione. È essenziale, per garantire una narrazione equa e approfondita, che non si limiti ai titoli sensazionalistici ma che indaghi a fondo le realtà complesse del nostro tempo. In questi anni di “esilio forzato” non sono mai caduto nella tentazione di cercare spazio altrove, sebbene ci fossero le condizioni , non ho mai tradito quella che ritengo la mia casa, il contesto in cui per più di vent’anni ho attraversato e raccontato la realtà. Spero di poterla considerare anche in futuro casa mia».
Racconti anche storie di bellezza e di futuro, perché il cuore del mondo può battere anche da luoghi che sembrano periferie dell’impero. E la tua è una narrazione di fatti, di cose, di persone, di scelte, ma in cui il cuore, l’emozione sono al primo posto. Un unicum, una narrazione molto speciale. Come la definiresti?
«La mia narrazione si focalizza su storie di bellezza e di futuro, anche in luoghi che possono sembrare ai margini del mondo. Questo approccio si basa sulla convinzione che il cuore del mondo possa battere ovunque, anche nelle periferie. Racconto fatti, persone, scelte, mettendo al centro le emozioni e l’umanità dei protagonisti. È una narrazione che punta a connettere il pubblico con le storie raccontate, a far sentire vicine realtà apparentemente lontane. La definirei una narrazione empatica e immersiva, che cerca di creare un legame profondo tra chi racconta e chi ascolta».
La tua lunghissima, fortunata tournée in giro per l’Italia e il contatto col pubblico hanno cambiato il tuo modo di raccontare, di guardare il pubblico, e in cosa?
«La lunga tournée teatrale e il contatto diretto con il pubblico hanno profondamente influenzato il mio modo di narrare. Il teatro ha rappresentato uno spazio privilegiato per proteggere la mia idea del “racconto del reale” e una vera e proprio forma di resistenza civile che mi ha permesso di continuare a raccontare storie riuscendo a fare denuncia anche lontano dal video. L’interazione diretta con il pubblico ha rafforzato la mia capacità di percepire e rispondere alle emozioni delle persone, rendendomi ancora più consapevole dell’importanza del rapporto umano. Questo confronto continuo ha arricchito il mio approccio, facendomi apprezzare ancor di più la forza dell’autenticità e del coinvolgimento diretto. Il teatro mi ha permesso di mantenere vivo e pulsante il mio impegno nel descrivere la realtà, e questo credo oggi abbia contribuito a rafforzato ancora di più il mio lavoro televisivo».
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia