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Foti nei guai: bancarotta fraudolenta e truffa

Foti nei guai: bancarotta fraudolenta e truffa

Bancarotta fraudolenta e truffa. E poi una serie di reati di natura tributaria. Il sostituto procuratore Stefano Musolino, ieri, ha chiuso le indagini sul fallimento della Reggina Calcio Spa e ha “avvisato” nove indagati, i quali adesso avranno 20 giorni di tempo per fornire alla Procura della Repubblica la propria versione dei fatti e tentare di discolparsi. Trascorso questo termine, la Procura chiederà al gip l’archiviazione o il rinvio a giudizio degli indagati.

Ideatore e promotore

Il principale indagato «per avere distratto e occultato beni» della Reggina Calcio Spa è l’ex presidente Lillo Foti. Indagato con lui per gli stessi reati pesanti è l’ultimo amministratore unico della Reggina Giuseppe Ranieri. Entrambi, secondo le indagini della Procura, «cagionavano con dolo e per effetto di operazioni dolose il fallimento della Reggina Calcio Spa procedendo al sistematico finanziamento dell’attività d’impresa attraverso il mancato pagamento dei debiti erariali». Secondo le indagini della Guardia di Finanza, dal 2010 al 2015 Foti «tratteneva, non versava e si appropriava» oltre 614 mila euro di ritenute Irpef; stesso meccanismo lo attuavano per l’Iva. A ciò si deve aggiungere un vorticoso giro di «fatture per operazioni inesistenti».

Conti fasulli

Secondo il pm Musolino, Foti e Ranieri «al fine di recare pregiudizio ai creditori e procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto falsificavano, in tutto o in parte, i libri e le altre scritture contabili e li tenevano in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari».

Lo stadio Granillo

Nel bilancio della Reggina Calcio Spa Foti e Ranieri annotavano “Crediti vs Comune per migliorie su Stadio Granillo” per un importo che sfiorava i 3 milioni di euro «appostandoli – scrive il pm – come immobilizzazioni immateriali, con conseguente ammortamento dell’apparente costo». Dalle indagini, invece, è emerso che non solo quel credito era inesistente, in quanto la maggior parte dei lavori e degli impegni contrattuali assunti dalla Reggina non erano stati rispettati ma che, all’esito delle reali compensazioni tra le parti, era il Comune di Reggio Calabria a vantare un credito nei confronti dell’impresa fallita!

Il marchio gonfiato

Curiosa anche la storia del marchio della Reggina che veniva iscritto a bilancio quale attivo indicandolo – ancora nell’esercizio 2015/2016 in piena decozione e cessazione delle attività sportive – in oltre 6,5 milioni di euro (al lordo dell’ammortamento) «a fronte – scrivono gli inquirenti – di un valore effettivo, a quell’epoca, non superiore a 75 mila euro».

Il Centro Sant’Agata

Nell’inchiesta sul fallimento della Reggina sono rimasti impigliati pure due dirigenti dell’ex Provincia. Gli ingegneri Carmelo Barbaro e Pietro Foti rispondo di abuso d’ufficio perché quando hanno ricoperto il ruolo di dirigente del Settore Demanio nella procedura per il rinnovo della concessione del Centro Sportivo Sant’Agata, avviata dalla Reggina Calcio Spa e proseguita dalla Curatela fallimentare, «intenzionalmente procuravano un ingiusto vantaggio patrimoniale» alla Reggina e ai suoi creditori privati che agivano per mezzo della Curatela. E sottolinea il pm: «Tra i creditori privilegiati compaiono Giorgia Foti e Gaetano Ungaro, rispettivamente figlia e genero di Pasquale Foti».

Infine, il pm individua quali persone offese: la Città Metropolitana e il Comune di Reggio Calabria, l’Agenzia delle Entrate, la Curatela fallimentare Reggina Calcio Spa. Non sono nominati i tifosi amaranto ma il danno che essi hanno subito – se i fatti contestati dalla Procura reggeranno al vaglio del Tribunale – non è risarcibile.

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