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Calabria-Argentina andata e ritorno, è qui la terra da cui ricominciare: le storie intercontinentali

Grazie allo “Ius sanguinis” sono 1.280 gli emigranti divenuti italiani provenienti dal Paese sudamericano. Storie di integrazione e speranza da Nicotera, Jonadi, San Lucido e da tutti gli altri borghi tornati a rivivere

Corsi e ricorsi storici. Storie di migrazione di ritorno. Senza, forse, un disegno tratteggiato dalla Provvidenza. Perché a tornare sono quelle storie di vita vissuta fatte di legami e tradizioni. Di emozioni. Di coraggio e resilienza. Del desiderio di futuro. Anelli di una catena che lega, ma che ha il profumo della libertà. Perché in quei viaggi, ieri come oggi, scorre la speranza. Un’oasi a cui abbeverarsi per sfuggire al deserto di una crisi economica e occupazionale, ma anche di sicurezza, che, lustro dopo lustro, cambia i connotati ma non i contenuti. Dalla Calabria sino in Argentina. E dall’Argentina in Calabria. Erano gli anni compresi tra il 1870 e il 1970 quando si partiva per il nuovo Mondo con il poco che si aveva e il tanto che il cuore custodiva. Milioni di persone. Anime logorate dalla distanza, ma braccia pronte a costruire, mattone dopo mattone, un domani migliore.
Un secolo dopo, le valigie sono cambiate, la rotta no, così come è rimasta invariata la voglia di solcare il mare e sorvolare il cielo in cerca di nuove opportunità. Non sono cambiati i sentimenti. Resta il dolore della separazione. Una lacrima da asciugare attraverso le carezze di quel viaggio di andata verso un futuro possibile, lì dove l’orizzonte si fa presente e si connette con il passato. Di quei luoghi lontani, sconosciuti, che ricompongono le pagine di una memoria intima, che non è sbiadita, perché affonda nelle radici. Ma che è anche espressione di ciò che fu. Una terra da cui ricominciare. Calabria, Italia, Europa.
Sono i giovani e meno giovani argentini. Quanti arrivano in Calabria alla ricerca dei loro antenati. Quanti riscoprono l’affinità – anche culturale – con una storia narrata che, però, ha il sapore della scoperta.
Perché oggi l’Argentina non è la terra che ieri concedeva una chance. E in tanti hanno intrapreso questo percorso a ritroso verso la Calabria. Una mano al cuore e l’altra al diritto contemplato nello “Ius sanguinis”. Materia complessa – il decreto legge del 28 marzo convertito proprio nei giorni scorsi – “riformata” con il cosiddetto “pacchetto cittadinanza” che, nei fatti, ha avviato una stretta sulla possibilità di acquisizione della cittadinanza a stranieri discendenti da italiani e che sta portando a una lenta e inesorabile riduzione di questi viaggi, annullando quella che rappresentava una crescita e uno scambio reciproco.
Ma restano i passi e quella flebile speranza che non si spegne. Parlano i dati, comunque, che vedono al primo gennaio 2024 – secondo il censimento permanente della popolazione – la presenza di 1280 argentini residenti in Calabria, di cui in provincia di Vibo 273, a Cosenza 590, a Reggio 224, a Catanzaro 151 e, infine, a Crotone 42. Tra questi la presenza più importante è segnalata nei comuni di San Lucido, Fiumefreddo e Longobardi, nel basso Tirreno cosentino.
Tanti progetti, tanti piccoli borghi che, da un lato all’altro nella punta dello Stivale, si sono preparati ad accogliere uomini e donne con un “passato” calabrese.
E ci sono narrazioni di vissuto che giungono da San Nicola da Crissa, da Nicotera e da Dasà, dove negli scorsi anni, è stata sfruttata la legge di bilancio per la richiesta di cittadinanza sul solco dello ius sanguinis. In questo caso, procedure avviate, anche se il sindaco Scaturchio non ha nascosto in passato il suo rammarico per il fatto che in molti, ottenuta la cittadinanza, sono andati via dal paese.
Storie diverse, invece, quelle che arrivano da Nicotera dove da poco è anche nato un “figlio” calabrese dell’Argentina che ha casa a Comerconi. Il sorriso di una famiglia, l’abbraccio di una comunità che ha saputo accogliere. Ombre e luci che si sono incrociate, ma che oggi rappresentano l’immagine di un futuro possibile. Ed ha il volto di Felipe, nato nella piccola frazione di Nicotera, che conta meno di 500 abitanti. Il piccolo di Mauro e Julieta, ai quali qualcuno aveva tagliato una gomma del camper con il quale erano giunti nel borgo che avevano scelto come dimora. A loro però aveva risposto la comunità ricomprando la ruota e manifestando vicinanza e sostegno alla famiglia.
Poi, ci sono le storie che attraversano Jonadi, tracciando i passi di una comunità aperta, dove il sindaco Fabio Signoretta non nasconde la sua soddisfazione per quel «legame che è stato costruito. Diverse famiglie – racconta – sono rimaste e si sono stabilite nel centro storico, dove sono state riaperte case che ormai erano chiuse da anni. Le famiglie sono quelle che, in genere, ottenuta la cittadinanza rimangono. Con i figli iscritti nelle scuole e una comunità che così è cresciuta. L’impatto sociale ed economico si è sentito e il fatto che la loro cultura sia molto simile alla nostra ha certamente aiutato a costruire legami forti». L’unico rammarico è «non essere riusciti a trattenere molti giovani che invece dopo aver ottenuto la cittadinanza hanno scelto altre mete». Ma c’è la storia di Alejandro e Yasmila Velazquez e della sua famiglia a rendere l’idea di questo abbraccio senza confini e condizioni.
È una storia fatta appunto di amore incondizionato. Di una famiglia partita dall’Argentina per dare un futuro migliore alla propria bambina. L’amore che la piccola Guadalupe trasmette con la sola voce e con i suoi occhi che la speranza la regalano a chi la incrocia. Quando parla di Jonadi, quando aiuta il papà Alejandro nella traduzione. Perché sarà anche piccola, ma lei l’italiano lo parla come se avesse vissuto sempre in Italia, a un anno circa dal loro arrivo. Racconta della scuola, dei compagni, delle maestre. Frequenta la terza elementare nel piccolo centro alle porte di Vibo. La sua voce sembra quasi sorridere. Apre il cuore. «Con me – racconta – sono stati tutti gentilissimi, come se mi conoscessero da sempre. I compagni, le maestre sono le migliori, mi hanno accolta con affetto e mi abbracciano sempre». Racconta del suo arrivo «ad aprile in Calabria, dove ci sono spiagge bellissime». Il primo giorno a scuola «come se fossi nella mia classe argentina». I tre nonni che ha incontrato a Jonadi «la signora Oriana, Pasquale ed Enza che mi hanno insegnato l’italiano, così come al catechismo dove ho imparato tante cose».
Amore, il leitmotiv. Quello che trasmettono Alejandro e la sua famiglia, quello della comunità di Jonadi che li ha accolti. «Il sindaco – spiega Alejandro – con noi è stato sempre disponibile, e tutti in paese lo sono stati. In Argentina – prosegue – io facevo il poliziotto e mia moglie era infermiera. Il mio era un lavoro pericoloso, perché la situazione ormai è difficile lì». Da qui la scelta di partire «per una vita migliore per nostra figlia» e l’opportunità offerta dallo ius sanguinis, considerato che «il nonno di mia moglie era italiano, partito per l’Argentina negli anni ’40». L’avvio delle procedure e la cittadinanza. Così la nuova vita, che ha fatto incontrare la famiglia Velazquez con «Pasquale Cutuli, un uomo di Jonadi che ci è stato accanto e ci ha offerto il suo aiuto». Un uomo che conosce l’Argentina, conosce il fenomeno della migrazione. Conosce l’amore per il prossimo. A lui dicono grazie. Lui che ha aiutato Alejandro anche a trovare un altro lavoro. A ricominciare. Una storia di amore. Di legami.
Così come quelli che giungono da San Lucido. Altre storie di integrazione e inclusione che diventano un sentire comune. Quel flusso di arrivi però è diminuito anche lì come nel resto della Calabria dove ormai le richieste sono pochissime, come spiega l’assessora alla Cultura Floriana Chiappetta. «Le istanze sono diminuite e ne restano poche da evadere». In particolare restano 2-3 domande dopo le circa 60 chiuse, «con un fenomeno che ora sembra destinato a morire». Ma il segno tangibile dell’importanza di quei movimenti è nella comunità “viva” che si è creata. «Lavorano qui, hanno famiglia, si sono integrati con la comunità e hanno ripopolato le scuole. È emblematica la nostra villetta dove ora ci sono sempre bambini. Sono presenze che hanno arricchito i nostri borghi, con un apporto sociale ed economico importante. Malgrado i timori che inizialmente potevano esserci e che sono stati disattesi, ci siamo ritrovati ad essere arricchiti dalla loro presenza».
E proprio quando si parla di ripopolamento, alla mente torna il progetto messo in piedi a Catanzaro che ha visto in prima linea le associazioni italo-argentine impegnate insieme a Confartigianato nei percorsi di ripopolamento dei borghi. Duplice l’obiettivo: frenare il processo di spopolamento e importare dall’Argentina professionalità che oggi mancano nel mercato del lavoro italiano.
Obiettivo, dunque, quello di far rivivere i comuni meridionali più colpiti dall’emigrazione dei giovani e dall’invecchiamento della popolazione, favorendo l’immigrazione dall'Argentina e da altri Paesi sudamericani.
Storie di partenze, di sorrisi, di comunità che si ritrovano, di borghi nei quali il sole torna a riscaldare la vita che sembrava essersi sopita. Storie di luci a cui si sovrappongono però le ombre di una politica che, spesso, non sa guardare oltre. Rischiando di spezzare quella crescita che sussurra di una umanità che si proietta nel futuro senza confini. Perché regolamentare è un dovere, costruire recinti e muri, interrompere il legame con la storia, è l’ossimoro sensoriale di una società che parla del domani, di un mondo aperto, solidale, di uguaglianza, ma a ogni battito d’ali, a ogni sussurro e respiro sembra averne paura. Corsi e ricorsi storici. In questo caso, certamente, senza alcuna Provvidenza.

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