
Al netto dei giudizi di merito, un dato appare incontrovertibile: la proposta di istituire un Reddito di dignità, avanzata dal candidato alla presidenza della Regione Pasquale Tridico, ha avuto il metodo di rianimare una campagna elettorale sostanzialmente a corto di argomenti in Calabria. Le forze politiche sono divise sull’idea di istituzionalizzare una forma di sostegno al reddito per le fasce meno abbienti. E il mondo accademico, che poi è lo stesso da cui proviene Tridico, invece cosa ne pensa? Marcello Minenna, economista ed assessore uscente della Giunta Occhiuto, ha parlato di una proposta «irrealizzabile perché non ci sono i soldi».
Non tutti, però, sembrano pensarla così. «Il Reddito di dignità - ragiona il professore Domenico Marino, ordinario di Politica economica alla Mediterranea di Reggio Calabria - è utile in Calabria perché attenua una povertà che in questa regione è elevata: secondo l’Istat quella relativa è al 27 per cento. L’errore che non va compiuto, tuttavia, è quello registrato con il Reddito di cittadinanza, ovvero cercare di risolvere con un unico strumento due problemi: la lotta alla povertà e il reinserimento nel mondo del lavoro.
Il Reddito di dignità deve essere erogato per un tempo definito e assomigliare ad un salario d’ingresso alla persona in cerca di occupazione, così come avviene già in altre parti del mondo. L’importante è che l’arco temporale sia limitato per evitare di sfociare nell’assistenzialismo. Poi c’è l’aspetto legato alla povertà ovvero alla necessità di assicurare un sussidio a chi versa in condizioni di povertà assoluta o relativa per offrire condizioni di vita meno disagiate. In quest’ultimo caso non si tratta di assicurare soldi, ma beni o servizi». Quanto alle coperture, «col Fondo sociale si spendono un sacco di soldi in campagne pubblicitarie utili solo a esaltare le gesta dei nostri politici. In realtà, l’Fse nessuno l’ha mai valutato seriamente. Dal 2019 ad oggi l’occupazione non è cresciuta nonostante siano stati impegnati miliardi di euro per la formazione professionale. A questo punto si potrebbe indirizzare una parte del flusso di denaro disponibile - naturalmente previo avvio di un sistema serio di controlli - per finanziare il Reddito di dignità. Ripeto: lo strumento non deve essere distorsivo e non deve creare dipendenza, ma può essere un incentivo ai giovani che scelgono di restare qui e lavorare in questa terra». E sulla stessa linea si attesa pure Francesco Aiello, ordinario di Politica economica all’Unical: «Se i potenziali beneficiari del Reddito di dignità vengono selezionati con criteri stringenti e vivono in condizioni di manifeste difficoltà economiche, è evidente che un’integrazione del reddito produce un immediato effetto di sollievo. Un’analogia si può trarre dal mondo delle imprese: quando emergono condizioni di svantaggio competitivo o di crisi, l’intervento pubblico attraverso agevolazioni fiscali, contributi a fondo perduto o altre forme di sostegno finanziario consente di attenuare i disagi e di garantire la sopravvivenza dell’attività».
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