La Corte costituzionale ha dato torto alla Regione Calabria nel conflitto di attribuzione sollevato in merito all’interpretazione della legge che ha disposto il subentro dell’Autorità idrica della Calabria (l’Aic, ormai soppressa con l’istituzione di Arrical) agli ex Ato (Ambiti territoriali ottimali). Si tratta di una decisione che ha ovviamente carattere giuridico e riguarda leggi regionali oggi in parte superate da nuove norme, ma ne discendono conseguenze di natura politica rispetto ai rapporti, spesso controversi, tra istituzioni ed enti coinvolti nella gestione dei servizi pubblici locali come acqua e rifiuti. Il conflitto su cui la Consulta si è espressa con sentenza del 7 marzo scorso (presidente Amoroso, redattore D'Alberti) ha avuto origine da un giudizio civile avviato il 20 maggio 2005 da un’azienda che, in forza di un contratto di appalto stipulato nel 2000 con il Commissario delegato per l'emergenza ambientale, aveva gestito il servizio integrato di conduzione, manutenzione, controllo e custodia degli impianti di depurazione e degli impianti di sollevamento delle reti fognarie in alcune aree della regione. La società in questione reclamava il pagamento di alcune somme dall’ufficio del Commissario e dall’ex Ato 1 ma, nelle more del giudizio, è intervenuta la legge regionale 34/2010 che, alla luce della soppressione delle autorità d'ambito territoriali, ha stabilito che le funzioni di queste ultime fossero esercitate, «senza necessità di atti amministrativi di conferimento», dalla Regione Calabria. Si è così arrivati alla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 21 febbraio 2013, poi confermata dalla Corte d'appello del capoluogo nel 2017, che ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio del Commissario delegato e ha condannato, in solido, la Regione Calabria e l’Ato 1 al pagamento delle somme richieste dall’azienda.