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Autonomia differenziata e sanità, la Calabria va incontro al collasso

Lo studio di Fondazione Gimbe conferma le preoccupazioni: il sistema non può reggere. L’utenza sconta già ora le gravi carenze del servizio pubblico solo per curarsi vengono richiesti prestiti medi di 5.690 euro

Se già a queste latitudini non funziona, la mazzata finale alla sanità nel Mezzogiorno arriverà dall’autonomia differenziata. Il ddl Calderoli, approvato al Senato e ora all’esame della Camera, è oggetto del focus della Fondazione Gimbe che mette sul tavolo almeno un nuovo elemento: il sistema «non solo porterà al collasso la sanità del Sud, ma darà anche il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti», sintetizza Nino Cartabellotta.
Il saldo sempre più negativo Il presidente di Gimbe ha illustrato ieri i risultati del report, secondo cui vengono documentati «già dal 2010 enormi divari in ambito sanitario tra Nord e Sud», sollevando «preoccupazioni riguardo l’equità di accesso alle cure». Numerosi gli esempi al riguardo. Innanzitutto, nessuna regione del Sud è nella top 10 dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel decennio 2010-2019. E poi, in tema di mobilità sanitaria tutte le regioni del Sud, ad eccezione del Molise, hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro nel periodo 2010-2021 (la sola Calabria ha un segno meno seguito da 2.969.350.012 euro), mentre sul podio si trovano proprio le tre regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie. E ancora, il raggiungimento degli obiettivi della “Missione Salute” del Pnrr è rallentato dalle scarse performance del Centro-Sud: dagli over 65 da assistere in Adi con abnormi obiettivi di incremento di circa il 300% per Campania, Lazio, Puglia e oltre il 400% per la Calabria, all’attuazione del fascicolo sanitario elettronico con percentuali di attivazione e alimentazione molto basse; dal numero di strutture da edificare (Case della comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità), alla dotazione di personale infermieristico ben al di sotto della media nazionale soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria. A ciò si aggiunga che tutte le Regioni del Mezzogiorno (eccetto la Basilicata) si trovano insieme al Lazio in regime di piano di rientro, con Calabria e Molise addirittura commissariate, status che impongono una “paralisi” nella riorganizzazione dei servizi. «Contrariamente agli entusiastici proclami sui vantaggi delle maggiori autonomie per il Meridione – spiega Cartabellotta – nessuna Regione del Sud oggi può avanzare richieste di maggiori autonomie in sanità».

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