L’Autonomia differenziata? Un toccasana per le regioni del Nord. Altro che «riforma utile all’intero Paese» (ministro Calderoli dixit), a “smontare” la versione dell’esponente leghista è l’Ufficio parlamentare di bilancio. In un dossier depositato nei giorni scorsi in commissione Affari costituzionali del Senato, l’Upb ha provato a dare risposta a un interrogativo fondamentale: quali Regioni hanno abbastanza soldi per gestire autonomamente servizi oggi a carico dello Stato? Il ragionamento offerto dai territori che spingono per la riforma, d’altronde, è noto: per gestire le materie oggi in carico a Roma si chiede di poter trattenere sui propri territori parte dei tributi, Irpef, Iva e Ires. Facile intuire come, seguendo questa linea, siano avvantaggiati i territori più ricchi perché l’aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. Tuttavia, per alcuni territori l’Autonomia rischia di diventare un salasso non sopportabile. L’Ufficio parlamentare di bilancio, nel report consegnato a Palazzo Madama, cita il caso della Calabria. Ove mai volesse gestire per conto proprio l’Istruzione, dovrebbe utilizzare il 40 per cento (alla Lombardia, invece, basterebbe soltanto il 10 per cento del proprio gettito fiscale) dei tributi dei suoi cittadini. Dunque, le resterebbe il 60 per cento per tutti gli altri servizi. «È evidente - fa notare l’Upb - che vi sono Regioni a statuto ordinario per le quali la capienza del gettito è limitata e tale da rappresentare un ostacolo a eventuali richieste di autonomia». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria