Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Il disastro della sanità calabrese tra pandemia, polemiche e conflitti di competenze

L'enorme conflitto di attribuzioni e competenze è la causa principale delle inefficienze con cui la sanità calabrese sta fronteggiando la seconda ondata della pandemia. Tre livelli istituzionali - commissario nazionale per l'emergenza, commissari per l'attuazione del Piano di rientro e Regione - nel corso di questi mesi non hanno collaborato per come avrebbero dovuto e il risultato è sotto gli occhi di tutti: gli interventi immaginati per potenziare la rete dell'assistenza sanitaria sono stati realizzati solo in minima parte.

Confusione a più livelli

Nel mese di marzo il Governo individua la Regione quale soggetto attuatore di tutte le misure utili al contenimento dei contagi di Covid-19. La catena dei provvedimenti è guidata, dunque, dalla governatrice Jole Santelli e dai suoi delegati per la gestione della pandemia, Antonio Belcastro e Fortunato Varone. È un assetto destinato a durare poco perché col decreto legge 34 del 19 maggio, sempre il Governo nazionale stabilisce che nelle Regioni con la sanità commissariata - com'è, appunto, la Calabria - gli interventi di riorganizzazione debbano essere guidati dalla struttura che sovrintende al Piano di rientro.

Il riordino della rete ospedaliera

Il 18 giugno l'ex commissario Saverio Cotticelli e la sua vice, Maria Crocco, presentano il decreto che riorganizza la rete ospedaliera. Nell'atto sono ricompresi una serie di interventi ritenuti indispensabili per far fronte all'avanzare del coronavirus, compresa l'implementazione delle terapie intensive e di quelle sub-intensive. Per le prime si prevede un aumento della dotazione di 134 posti-letto, per le seconde un contingente aumentato di ulteriori 136 postazioni. Ma è su questa linea che si generano i primi contrasti per le competenze. Già, perché se da un lato i commissari calabresi predispongono il Piano Covid, dall'altro tocca invece al delegato nazionale per l'emergenza, Domenico Arcuri, l'attuazione degli interventi di potenziamento delle terapie intensive e semi-intensive. Tutto questo mentre il 27 ottobre il ministero della Salute, di concerto col Mef, comunica a Cotticelli che il potere-dovere di predisporre e adottare il Programma operativo Covid, compete esclusivamente alla struttura commissariale. Un cortocircuito perfetto, in buona sostanza.

Le scelte di Arcuri

Va precisato come i lavori banditi da Arcuri per l'attivazione dei nuovi posti-letto siano aggiuntivi rispetto alla dotazione standard pre-pandemia degli ospedali calabresi. D'altronde allestire una postazione di terapia intensiva non è semplicissimo. Come hanno spiegato più esperti è errata la semplificazione secondo cui basta un ventilatore per rendere funzionale una postazione di Ti. Senza lavori di adeguamento sulle strutture e altre dotazioni - compreso il personale qualificato - sarebbe da ingenui pensare di aumentare tout court le terapie intensive. A ciò va aggiunta poi, nel caso calabrese, l'impasse che si è verificata nelle interlocuzioni tra Arcuri, la Regione e la struttura commissariale. Il delegato del Governo ha comunicato ai vertici della Cittadella che per lui sarebbe stato complicato affidare la delega degli interventi alla Regione in una realtà dove la sanità commissariata. Da qui l'attesa di una risposta da parte dei commissari (Cotticelli e Crocco) che non è mai arrivata e la scelta di nominare soggetti attuatori (siamo ormai già ad ottobre) per il rafforzamento delle terapie intensive i manager delle singole Aziende sanitarie e ospedaliere. È la quadratura del cerchio? Non proprio. I fondi attesi da Roma non sono ancora arrivati e le scene degli ultimi giorni, con malati in attesa di cure disseminati nei corridoi degli ospedali, sono l'esempio più lampante di una strategia molto deficitaria.

Tag:

Caricamento commenti

Commenta la notizia