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Voto di genere, Adamo: "In Calabria un altro tassello verso la democrazia paritaria"

Nella giornata di ieri si è consumata l’XI Legislatura del Consiglio regionale calabrese. La più breve, per la prematura scomparsa della Presidente della Giunta. Al di là dei colpi di scena che anche ieri sono andati ‘in onda’, rimane l’approvazione della Proposta di Legge n. 55 che ora sarà promulgata e pubblicata previo coordinamento con la legge regionale n. 1 del 2005 (Norme per l’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale) di cui costituisce parziale modifica e integrazione.

Le perplessità che nascono a leggere il testo appena adottato non riguardano tanto la previsione su cui si è concentrato più volte il dibattito politico ed intellettuale calabrese (e non solo) – ovverosia la doppia preferenza di genere, sulla cui piena legittimità costituzionale autorevole dottrina e Corte costituzionale hanno ampiamente argomentato – ma un’altra previsione che, secondo i principi fissati dalla legislazione statale, deve essere presente cumulativamente alla disposizione sulla doppia preferenza di genere, vale a dire la riserva/quota di lista.

A seguito del coordinamento a cui gli uffici del Consiglio sono demandati, l’art. 1, comma 6, della legge ieri votata così reciterà: «[a]l fine di assicurare la parità di accesso alle cariche elettive degli uomini e delle donne, ai sensi degli articoli 51 e 117, comma 7, della Costituzione, le liste elettorali devono comprendere, a pena di inammissibilità, candidati di entrambi i sessi. Nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al sessanta per cento. In caso di quoziente frazionato si procede all’arrotondamento all’unità più vicina».

Gli ultimi due periodi sono quelli integrati dalla novella legislativa. Ancora una volta, una non accorta redazione può creare più di un dubbio interpretativo con ricadute negative sulla certezza del diritto. Ed in effetti, almeno due sono le (differenti) interpretazioni che possono essere estrapolate dalla disposizione qui in commento.

Secondo la prima, l’inammissibilità colpisce solo le liste monogenere – cioè quelle stilate senza la presenza di entrambi i sessi – e non già quelle non conformi alla previsione per cui in ciascuna lista i candidati del medesimo sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale, in quanto per quest’ultima misura antidiscriminatoria manca nella legge approvata una apposita sanzione.

La seconda interpretazione – quella qui proposta –, invece, legge gli ultimi periodi della disposizione alla luce dei primi, anche tenuto conto dell’obbligo in capo ai partiti politici i quali non possono presentare liste senza rispettare la quota di genere in una misura non superiore al 60 per cento. Si propende, cioè, per una interpretazione teleologica per la quale il fine della normativa appena scritta è quello di garantire la promozione della parità di chance tra uomini e donne che non sarebbe assicurata se la norma non avesse alcuna sanzione. Oltre al fatto che una norma senza sanzione non è tecnicamente neanche una norma mancando ad essa il carattere della coattività. La modifica integrativa costituisce, quindi, una aggiunta ad uno stesso comma con la conseguenza che le due parti si legano indissolubilmente tra di loro, tanto che ne violerebbe la ratio quella interpretazione (che sarebbe solo letterale e non già sistematica o in combinato disposto o, meglio ancora, costituzionalmente conforme) che si limitasse a riconoscere l’inammissibilità della sola lista monogenere e non già anche quella che non rispettasse la riserva di lista, nella misura in cui è proprio la seconda parte che attribuisce alla presenza dei due sessi quella precisa soglia da raggiungere. La seconda parte attribuisce senso e portata prescrittiva alla prima, e viceversa.

Detto ciò – vale a dire sostenuta, si auspica in modo argomentato e ragionevole, una interpretazione che rimane pur sempre una fra quelle possibili – non si comprende perché il legislatore calabrese non abbia proceduto, ad esempio, come quello ligure, che ha da poco (lo scorso 21 luglio) modificato la sua legge elettorale per sanare – anch’esso – il mancato adeguamento alla legislazione statale, procedendo a tal fine con un ottimo drafting legislativo attraverso la riscrittura dell’intero comma, ‘limitandosi’ a scrivere che le liste «sono composte, a pena di inammissibilità, in modo che i candidati del medesimo sesso non eccedano il 60 per cento del totale».

Si è persa ancora una volta la possibilità di essere chiari e univoci. Per concludere questa lettura della disposizione appena adottata, si vuole comunque sottolineare che non si è legiferato per le donne, bensì per gli uomini e le donne calabresi. Le normative che assicurano il principio di pari opportunità in ambito elettorale non assicurano nessun risultato, ecco perché è errata l’espressione ‘quota rosa’; d’altronde si tratta di norme neutre che si rivolgono sia agli uomini che alle donne avendo il fine di migliorare la qualità della democrazia oltre quello di infrangere i vari ‘tetti di cristallo’ purtroppo ancora presenti nella nostra società. Incidere sui soli punti di partenza (pari opportunità) non ha alcun riflesso sulla rappresentanza politica perché le norme antidiscriminatorie si arrestano prima dell’espressione del voto elettorale attraverso il quale si scelgono i propri rappresentanti, vale a dire coloro i quali rappresenteranno gli interessi generali della collettività tutta.

Tutti dovremmo continuare a spingere per la piena affermazione di una democrazia realmente paritaria, in primis i partiti politici che, al di là della normativa, possono sterilizzare il dilemma interpretativo qui esposto facendo proprie le istanze paritarie e formalizzando una composizione di liste egualitarie rispetto al sesso, anche a prescindere dalla sanzione.

Non è importante sottolineare, qui e ora, che la novella legislativa è stata forse adottata per evitare la possibile attivazione dei poteri sostitutivi da parte del Governo (così come avvenuto qualche mese fa per la Regione Puglia) o per evitare di incorrere in decisioni giudiziali che avrebbero potuto giungere ad una dichiarazione di illegittimità del voto con conseguenze imprevedibili; preme sottolineare invece, qui e ora, il fatto che si è consci, come già sottolineava la Corte costituzionale nel 1995 – seppure in una sentenza per altri versi criticata e da criticare (la n. 422) – che «a risultati validi si può pervenire con un’intensa azione di crescita culturale che porti partiti e forze politiche a riconoscere la necessità improcrastinabile di perseguire l’effettiva presenza paritaria [dei due sessi …] nella vita pubblica, e nelle cariche rappresentative in particolare».

* Ugo Adamo, docente Unical

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