A fari spenti, con un dibattito tutto incentrato sull’emergenza sanitaria e sulle manovre politiche relative alle elezioni amministrative, ci si avvicina al referendum che potrebbe rappresentare uno spartiacque nella storia dell’Italia repubblicana. Già, perché i prossimi 20 e 21 settembre si tornerà alle urne non solo per eleggere presidenti di Regione e sindaci, ma anche per confermare o meno la decisione del Parlamento che ha tagliato i deputati (da 630 a 400) e i senatori (da 315 a 200). Si tratta di un referendum confermativo - il quarto nella storia di questo Paese - che non richiederà il raggiungimento di un quorum per essere valido, ma in ogni caso vincerà il “sì” o il “no” nelle percentuali che decreteranno le urne. A questa scadenza guardano con evidente interesse anche i partiti calabrese. In caso di successo del “sì”, i deputati calabresi scenderebbero nella prossima legislatura dagli attuali 20 a 13, con una riduzione dei seggi pari al 35 per cento. In buona sostanza, secondo gli ultimi dati Istat sui residenti, ci sarebbe una popolazione media per seggio pari a 150.696 persone. Ancora più drastico il taglio in programma al Senato: qui, sempre in caso di vittoria dei “sì”, la Calabria passerebbe dagli attuali 10 seggi ai futuri 6, con una decurtazione della rappresentanza a Palazzo Madama pari al 40 per cento. La popolazione media per ogni seggio sarebbe di 326.508 persone, secondo dato più alto in tutto il Paese. A conti fatti, la nostra regione perderebbe così ben 11 parlamentari, con una decurtazione della rappresentanza eletta pari al 36 per cento. Davanti agli scenari che vanno profilandosi, sono diversi gli interrogativi che circolano nelle segreterie delle principali forze politiche. Tra questi il rischio di avere una rappresentanza striminzita rispetto a regioni demograficamente più piccole. «A dir la verità - ragiona Stefano Ceccanti, costituzionalista e capogruppo del Pd nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio - alla Camera non c’è sottorappresentazione rispetto alle altre Regioni perché è rispecchiato alla precisione il rapporto demografico; anche al Senato il numero minimo evita sottorapresentazioni. Tuttavia i numeri ristretti di Palazzo Madama creano obiettivamente problemi perché a seconda della legge elettorale si sottorappresentano forze anche consistenti. Ad esempio, a sistema invariato, in una Regione da tre coalizioni a priori, il primo schieramento prende il collegio uninominale e il primo degli eletti proporzionali, il secondo prende l’altro seggio proporzionale ed il terzo rimane a bocca asciutta». Quanto alla correlazione tra numero degli eletti e sistema di voto, Ceccanti è categorico: «Il sistema elettorale seleziona solo un numero maggiore o minore di schieramenti». Per la cronaca, il Pd è ormai lanciato su una riforma di tipo proporzionale con un’alta soglia di sbarramento (5 per cento), finalizzata a marginalizzare le forze più piccole del centrosinistra.