Onorevole Jole Santelli, si sarebbe mai aspettata di essere infine lei la candidata alla presidenza della Regione per il centrodestra dopo aver difeso a più riprese la posizione di Mario Occhiuto? «Sinceramente no. Io ho creduto molto nella candidatura di Mario, ci ho creduto sino alla fine e forse mi sono sentita anche in colpa perché non sono riuscita a capire il momento in cui la partita si stava chiudendo. Alla fine credo che la mia candidatura sia parsa la più naturale, intanto perché sono il coordinatore regionale del partito, in parte perché la mia storia politica è quella più identificabile nella storia di Forza Italia. Sono stata felice per l’accoglienza che il mio nome ha trovato anche negli alleati». Lei è la prima donna candidata alla presidenza della Regione ma la presenza femminile nella politica calabrese, anche tra le liste che la sostengono, è molto bassa... «La presenza femminile è bassa. Sono elezioni con preferenza e generalmente sono quelle che premiano meno le donne. Con orgoglio devo dire, però, che nella mia lista in provincia di Cosenza la percentuale è ribaltata: su nove candidati, cinque sono donne. Donne di partito ed amministratori; donne che fanno politica e fortemente competitive. Spero e mi auguro che siano gli elettori a mandare le donne in Consiglio». In caso di vittoria quale metodo utilizzerà per mettere a punto la sua Giunta? E che margini avrà rispetto al peso che potranno avere i “grandi elettori” in questa scelta? «Sicuramente terrò conto della forza delle varie liste che mi sostengono. I grandi elettori sarebbero quelli che vengono votati? La Giunta è fatta dal presidente e trattandosi di una Regione generalmente i partiti regionali e nazionali hanno ovviamente le loro richieste. Conoscendo però sia Giorgia Meloni che Matteo Salvini ed ovviamente il mio partito, credo che non avremo problemi nel delineare i profili degli assessori. Poi è sufficiente che i nomi corrispondano ai profili. La Giunta diventerà il biglietto da visita con cui ci presenteremo ai calabresi. Serve una squadra, uomini e donne capaci di lavorare insieme con spirito comune, senza individualismi e senza dare l’impressione di occupazione del potere». Perché un elettore dovrebbe scegliere lei e non i suoi competitors? «Perché io credo nella Calabria, nelle sue possibilità, credo che per quanto complesso sia il lavoro, la Calabria abbia le energie intellettuali e le risorse per vincere la sfida, ed io vorrei vincere la sfida con la “squadra Calabria”. Credo anche che sia improcrastinabile il momento delle scelte: incentivare le eccellenze della Calabria. Puntare sugli asset identità. Soprattutto uscire da questa battaglia dei poveri che ha visto i territori uno contro l’altro. La Calabria ha tante facce, tante identità, cresce insieme, occorre cucire addosso ai diversi territori corrette politiche di sviluppo. La mia forza è che mi sento calabrese. Amo tutta la Calabria profondamente». Le prime misure che ha in mente per dare una scossa alla Calabria... «Tentare di liberare risorse e concentrare sforzi politici, capacità progettuali negli asset fondamentali della Regione: agricoltura, turismo, cultura e ricerca ed innovazione. Tutto a tutti vuol dire nulla a nessuno, vuol dire tentare di mercanteggiare il consenso senza realmente investire sul futuro. Non abbiamo più tempo, è arrivato il momento delle scelte». Assistiamo sempre più impotenti all’emigrazione di cervelli dalla nostra regione. Qual è la sua ricetta per evitare il fenomeno e creare le condizioni affinché i giovani rimangano a queste latitudini? «I giovani rimangono se hanno a casa loro la possibilità di progettare il futuro, ed il futuro vuol dire sviluppo e lavoro. Siamo rimasti soffocati dalla quotidianità dei problemi e delle emergenze ed il poco o tanto che avevamo lo abbiamo destinato più alla clientela politica. Con questo intendo anche la destinazione a pioggia dei finanziamenti: in Calabria potremmo dire mai una scelta! Lo ripeto, ma credo questa sia stata la resa più grande della politica. Una politica che rinuncia a progettare il futuro tradisce il suo ruolo». La mancanza di occupazione è una delle piaghe della nostra regione. Quali sono i suoi programmi per incentivare l’occupazione, non solo di quella giovanile ma anche delle persone che hanno perso il posto di lavoro? «Dobbiamo e possiamo sviluppare la piccola e media impresa. Parlo di questa perché è quella che c’è in Calabria. Dobbiamo orientare i finanziamenti rispetto al mercato di riferimento, e noi come calabresi abbiamo il 40 per cento della spesa che va in beni di importazione, i Lombardi spendono in beni di importazione il 3 per cento. Dal 3 al 40 ci sono una moltitudine di prodotti che possono essere fatti in Calabria e destinati anche al mercato interno. Tradotto sono sviluppo e posti di lavoro». Lei sostiene che è necessario uscire dagli stereotipi negativi sulla Calabria. Ma come si fa spiegare a chi lotta per la sopravvivenza che questa è la terra delle luci e dei colori? «Certo che c’è chi lotta per la sopravvivenza, certo che c’è chi soffre, certo che ci sono i problemi. Ma è stupido chi si compiace dinanzi alla maestosa bellezza di un panorama? Chi è orgoglioso dell’azzurro del mare o si emoziona dinanzi alla bellezza della Sila o dell’Aspromonte o del Pollino? Chi è affascinato dal profumo o dal sapore del bergamotto o del mandarino o del cedro? O forse è più stupido chi dinanzi a tutta questa bellezza preferisce dipingere la Calabria solo in grigio e nero? La rassegnazione ed il cinismo sono i peggiori avversari di questa terra». La sanità appare un malato senza possibilità di cure. Ancora intravede una via d’uscita a questa situazione? «È difficile e pieno di insidie il percorso sulla sanità. Occorre anche considerare il commissariamento con cui bisogna interfacciarsi. Io credo che occorra precedere per step, partendo dalla riorganizzazione territoriale, dai poliambulatori, cioè dai presidi sui territori. Occorre anche rivedere l’organizzazione fra le Aziende ospedaliere e quelle territoriali e i rapporti fra gli ospedali provinciali e gli spoke. Se riuscissimo a dare due risposte più o meno immediate, la cancellazione delle liste d’attesa e rendere i pronto soccorso dei posti civili, già avremmo tutti dato un segnale di estrema importanza per far recuperare la fiducia ai calabresi nella sanità calabrese. Io credo che i viaggi della speranza sanitari molte volte sono necessari, altre volte invece potrebbero essere tranquillamente evitati». È consapevole che la Calabria ha perso peso contrattuale a Roma? Ormai questa terra sembra abbandonata al proprio destino e ciò anche per colpa di una classe dirigente spesso inadeguata, non crede? «Non so quando la Calabria ha avuto peso politico, non lo so nel senso che i numeri della Calabria in Parlamento sono esigui rispetto al peso numerico di altre regioni. Credo anche però che non abbiamo fatto adeguatamente squadra in conferenza stato regioni, ad esempio. Così come temo che spesso non ci siamo fatti sentire abbastanza o non siamo andati con le idee chiare. Perché dovremmo riuscire ora? Speriamo solo perché abbiamo imparato la lezione». Al forum hanno preso parte anche i giornalisti Gaetano Mazzuca, Giuseppe Mercurio e Francesco Ranieri