Super partes per definizione, equidistante per la natura stessa del ministero sacerdotale. Abbiamo scelto la Chiesa, e il suo massimo rappresentante in Calabria, per un’opinione a 360 gradi in vista di un appuntamento elettorale “pesante” come quello delle regionali di domenica prossima, 26 gennaio. E monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e presidente della Conferenza episcopale calabrese (Cec), non si è sottratto alle nostre domande. Ne è venuto fuori un giro d’orizzonte sulle principali tematiche sul tappeto, dalla sanità al lavoro che non c’è, passando per la lotta alla ’ndrangheta. Queste elezioni sono l'ultima occasione per la Calabria? «Non direi. Lo sarebbero, se il “destino” della nostra terra dipendesse esclusivamente da una scelta elettorale, sia pure importante, come quella che ci attende. Il voto del 26 gennaio è cruciale, ma il riscatto concreto e la liberazione da tante schiavitù passano solo da una rivoluzione culturale con protagonisti i calabresi, chiamati a superare il fatalismo già stigmatizzato da Falcone: “Che le cose siano così non vuol dire che debbano andare sempre così”». In questo momento che ruolo deve giocare la Chiesa? «La Chiesa parla alle coscienze. In punta di piedi, sollecita attenzione agli ultimi e agli “scartati”. Vangelo alla mano, avanza suggerimenti e proposte. Continueremo a fare e ad essere questo, nel migliore dei modi possibile». Disaffezione per la politica, disinteresse e disillusione dilagano: teme che l'astensionismo possa essere decisivo? «È umanamente comprensibile, ma non condivisibile, l’atteggiamento di chi, deluso ed amareggiato da scandali, ritardi ed errori, si astiene dal voto. Il nostro invito è chiaro: recarsi alle urne è un dovere e una seria responsabilità. Si voti in libertà e coscienza, senza deleghe in bianco né assenze che, alla fine, finirebbero col mettere il futuro della Calabria nelle mani di pochi». È la burocrazia a frenare lo sviluppo della Calabria? «Se vi sarà buona politica vi sarà di certo anche una macchina burocratica, meno farraginosa e più trasparente. Non meno importante è avviare un serio processo di semplificazione normativa ed amministrativa». In campagna elettorale si è affrontato adeguatamente il tema della lotta alla ’ndrangheta? «Se ne è parlato poco, ma non è detto che parlarne tanto avrebbe aiutato a vincere la guerra contro le ’ndrine. Alla fine ciò che conta è la coerenza tra le parole ed i fatti, e questi possono maturare anche nel silenzio dell’azione, decisa e coerente. Ritengo per questo che la consapevolezza della profondità e della pervasività del fenomeno dovrebbe condurre ad un’altra riflessione: la ’ndrangheta deve diventare questione nazionale ed europea, e come tale affrontata e sconfitta. Occorre un maggior impegno perché maturi la convinzione che per sconfiggere le cosche non bastano magistrati eroici, politici perbene, cristiani coerenti, ma serve un radicale cambiamento culturale dei calabresi». Il diritto alla salute, in Calabria, è una battaglia quotidiana. Il commissariamento è stato e può essere ancora una soluzione? «Il problema non sono gli uomini, ma i metodi. Pensare di trattare la sanità solo come un’azienda, e dunque di poter ripianare debiti antichi con cruente operazioni ragionieristiche, magari chiudendo ospedali ed ambulatori, è quanto di peggio possa accadere. Al centro di ogni considerazione deve rimanere la persona, con la sua dignità, i suoi diritti, i suoi doveri e le sue esigenze». Condivide, per i tantissimi calabresi disoccupati, il reddito di cittadinanza o sarebbe più utile, per esempio, una misura come il lavoro di cittadinanza? «L’unica arma realmente efficace nella lotta alla disoccupazione ed al precariato è il lavoro, e oltre a un reddito di sopravvivenza occorrono opportunità lavorative e provvedimenti per facilitare l’imprenditoria sociale e favorire lo sviluppo. Il Rdc ha oggettivamente avuto una discreta riuscita in termini di sostegno minimo al reddito, ma utilizzare misure simili come sonnifero per la coscienza collettiva sarebbe un errore grave. L’essenziale è altro. È riportare il lavoro onesto nel vocabolario e nella vita quotidiana dei calabresi». Cosa si aspetta tra i primi atti del nuovo governatore? «Offro qualche suggerimento: stilare una pubblica mappa delle priorità e dei bisogni; concentrare i Fondi europei della Politica di Coesione 2021-2027 su precisi obiettivi quali innovazione, turismo, economia circolare; elaborare il piano strategico regionale 2020-2050 in coerenza con il Programma Green Deal 2050 lanciato dalla Commissione Europea e negoziare, con la stessa e con la Banca Europea degli Investimenti, un Accordo strategico aggiuntivo che preveda il coinvolgimento di Fondi di investimento ed investitori privati; far nascere un Polo dell’Innovazione al servizio dell’area euromediterranea, per recuperare la centralità della Calabria nel Mediterraneo; svecchiare il linguaggio della politica; lanciare un messaggio di pacificazione alle forze politiche ed a tutte le istituzioni: il bisogno di un Giubileo civile per la Calabria. In concreto, arginare la povertà; affermare la legalità nella gestione della cosa pubblica; azioni urgenti nel campo del lavoro e della sanità, divenuti ormai deserto nel quale si perdono e vengono straziati i diritti dei calabrese, dagli avvoltoi dei gruppi di potere». Cosa augura al governatore che verrà? «Essere un bravo direttore d’orchestra che, confidando in tutti “i suonatori”, armonizzi la gestione e lo sviluppo di tutti i settori: accademico, giovanile, artistico, tecnologico, agroalimentare, archeologico, economico, politico, sociale. Compito impegnativo e forse arduo, ma disperatamente necessario».