"Liberi di Scegliere", il boss in carcere mi disse: se avessi potuto anch'io, forse oggi non sarei qui
Sconfiggere la mafia si può, partendo dai giovani. Oggi, nel 32. anniversario della strage di Capaci, il messaggio di legalità e speranza assume la forma di cornice normativa. Il percorso sperimentale partito nel 2012 dall'intuizione del presidente del Tribunale per i minori di Reggio, Roberto Di Bella, infatti annoda sempre nuove sinergie e collaborazioni. Il progetto Liberi di Scegliere partito dalla Calabria approda in Sicilia con la forza dirompente che ha creato crepe importanti nella granitica compattezza delle famiglie di ‘ndrangheta. Riavvolge il nastro dei ricordi il magistrato che ha avviato un percorso su cui 12 anni addietro erano in pochi a scommettere. Allora l'idea di allontanare i figli delle famiglie di mafia era guardata con pregiudizio, si parlò di confisca di figli, di deportazioni di minori. A distanza di diversi lustri l'intuizione di allontanare i ragazzi delle famiglie di ‘ndrangheta ai primi segnali di disagio diventa uno strumento chiave di prevenzione. «Abbiamo iniziato dai singoli casi, oggi sono quasi 200 i minori coinvolti dal progetto, 30 le donne andate via dalla Calabria e dalla Sicilia a seguito dei loro figli, 7 le collaboratrici e testimoni di giustizia. Anche due boss sono diventati collaboratori di giustizia dopo gli interventi di Liberi di scegliere». Un risultato incoraggiante maturato sul campo. Più di un boss che sconta la sua pena in regime di 41 bis ha scritto al presidente Di Bella per esprimere la propria gratitudine. «Se avessi avuto la stessa opportunità forse non mi troverei in questo luogo», hanno scritto questi uomini dal passato criminale. «Si è creata un'interlocuzione umana, si esprime sofferenza e anche rammarico, nella consapevolezza che questo doloroso percorso può essere risparmiata ai figli. Mi incoraggiano ad andare avanti». Già questo elemento ha il sapore di una sfida vinta. Probabilmente se avessero incrociato sulla loro strada un percorso come quello di Liberi di scegliere la loro storia sarebbe stata diversa. Perché la forza vera del progetto è quella di agire prima. Le nuove leve delle cosche vengono allontanate prima di essere arruolate. La misura dei provvedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale comincia a essere percepita per quello che è: una via d’uscita da una realtà in cui si respira violenza, da contesti che si tradurrebbero per molti dei figli delle famiglie di mafia, in una vita di detenzione, nella migliore delle ipotesi. Si è dimostrato che si può aspirare ad una vita libera ed onesta anche se si porta un nome pesante. Che il destino non è segnato neanche per i figli delle famiglie di mafia. «Si è creata una rete sul territorio, relazioni sia con la Procura per i minori che con la Procura antimafia, oltre che tra uffici giudiziari. Questo ci ha consentito di intervenire tempestivamente, quando si sono situazioni di pregiudizio come emerge dalle indagini. I risultati ci sono, tanti ragazzi ce l'hanno fatta, tante mamme sono riuscite a rifarsi una vita. Grazie all'apporto di Libera e della Cei, che ha finanziato il progetto attraverso i fondi dell' 8 per mille, e ora anche a fondi ministeriali, siamo riusciti a dare una concreta possibilità di svolta a tanti. Ma serve una legge nazionale, che dia continuità giuridica, finanziaria, culturale. In seno alla Commissiona Antimafia è stato istituito un comitato che ha compito di redigere il testo normativo». La valenza dell'esperienza di Liberi di Scegliere non è solo strettamente legata alla giustizia, il messaggio è soprattutto culturale, formativo. «La Regione Calabria assieme all'associazione Biesse, guidata da Bruna Siviglia, ha realizzato un format che a giugno è diventato legge e quindi entrerà nelle scuole di ogni ordine e grado». Un approccio diverso alla lotta alla criminalità che si è radicata sul territorio di Calabria e adesso anche della Sicilia attraverso il percorso che sta trovando una importante sinergia istituzionale, e che Gazzetta del Sud ha sposato da subito e continua a sostenere. Il format passa dalla lettura del libro in cui il magistrato racconta l'esperienza di tanti ragazzi che ce l'hanno fatta e di tante donne, le loro mamme che hanno sfidato le loro famiglie per donare un'opportunità ai figli, dalla visione del film che ripercorre storie e vicende. «E in questi incontri – spiega il magistrato – smontiamo il falso mito della mafia. Facciamo capire ai ragazzi che lungo la strada della criminalità si va incontro ad anni e anni di detenzione. Quando va bene e non si finisce ammazzati. In alcune scuole ci hanno chiesto di Santapaola, ho raccontato di questo anziano ultraottantenne a cui hanno ucciso anche la moglie, che sta vivendo in prigione da anni. Scardiniamo l'idea degli uomini d'onore, i boss che si macchiano di storie terribili, che non risparmiano donne e bambini, tutto sono tranne che uomini d'onore. La mafia alimenta miti e noi cerchiamo di smontarli. Cerchiamo di fornire strumenti ai ragazzi che sono le prime vittime della criminalità. Un lavoro che ci sta dando tante soddisfazioni, i giovani sollecitati dal libro, dal film, dagli incontri producono prodotti artistici attraverso diverse forme linguistiche ed espressive, cortometraggi, canzoni, temi. I più significativi sono stati premiati nel corso della cerimonia alla Scuola Allievi Carabinieri di Reggio. Abbiamo avuto modo di constatare quanto il progetto sia toccando corde emotive degli adolescenti e fatto formazione per gli insegnanti». «Grazie a questo format probabilmente abbiamo sdoganato il tabù di parlare di ‘ndrangheta nelle scuole. Fino a una decina di anni addietro si affrontava poco questo argomento, magari con progetti spot. Adesso questo percorso così strutturato sta dando risultati e non solo in termini di consapevolezza. Alcuni giovani si sono rivolti alle insegnanti per parlare. Con queste argomentazioni attraverso le storie terribili mostriamo il vero volto delle vicende della criminalità, tante miserie. Nell'oscurità interiore delle loro celle questi uomini faranno delle riflessioni e non saranno contenti. Con questo spirito ci rivolgiamo ai giovani in questa ricorrenza, che ricorda la strage di Capaci».